Dubito ergo sum
12 9 2020
Dubito ergo sum

Perché stupirsi di fronte agli ingranaggi della macchina linguistica

Di tutte le interviste impossibili di quest’anno, quella con Noam Chomsky è stata senza dubbio una delle più attese. Festivaletteratura, dopo anni di corteggiamento, è riuscito ad ottenere un incontro in streaming, dove il linguista americano ha risposto alle domande di Andrea Moro, professore universitario che fu suo studente al MIT nel 1988. Moro, che dà inizio al confronto in medias res perché ritiene che un’introduzione all’ospite sia superflua, stimola Chomsky partendo proprio da alcuni nuclei tematici del suo corso di oltre trent’anni prima.

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In quel periodo si dibatteva sulle recenti innovazioni elettroniche e di come potessero finalmente consentire di capire tutti gli aspetti del linguaggio. L’euforia che suscitava un tale ampliarsi di possibilità conoscitive non era dissimile dall’entusiasmo che oggi una parte della comunità scientifica prova per le potenzialità dell’intelligenza artificiale. Eppure, prevede Chomsky, così come quelle prospettive si dimostrarono troppo ambiziose e conseguentemente fallaci, anche oggi l’accalorarsi collettivo non risulterà eccessivamente fruttuoso.

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Moro si focalizza su un altro zoccolo duro dei corsi di quell’epoca: l’interesse reciproco di linguistica e neuroscienze. Cosa è cambiato su quel fronte? L’attenzione si sta gradualmente spostando dal dove al cosa. Nella seconda metà del Novecento sono proliferati gli studi che analizzavano i fenomeni linguistici all’interno delle specifiche aree d’azione della mente umana, ma ora si dovrebbero privilegiare i fenomeni cerebrali in se stessi.

Chomsky riporta l’esempio di un esperimento del linguista Eric Lenneberg. Quest’ultimo si interessò a soggetti con disabilità, nello specifico lavorò con i sordi. Alla fine degli anni Sessanta, il linguaggio dei segni non veniva insegnato ai sordi, ma si preferiva l’approccio della lettura labiale. Eppure, venne osservato che nel momento in cui l’insegnante di una data classe si girava di spalle per scrivere alla lavagna, gli alunni, pur non potendo leggere le labbra dell’istruttore, comunicavano con lui e tra di loro tramite gesti improvvisati. Si dedusse che l’acquisizione linguistica era un procedimento che si serviva, oltre che di un input, anche di meccanismi innati ed intuitivi.

L’incontro prosegue con diversi cenni ai padri fondatori della scienza moderna: Galileo, Newton, Leibniz. La loro portata rivoluzionaria massima fu il semplice atto di mettere in dubbio i fenomeni che prima venivano dati per certi. Galileo si servì ampiamente di esperimenti mentali con lo scopo di superare le etichette ontologiche che per secoli avevano primeggiato nella cornice culturale europea. Newton, secondo l’analisi di Hume, fu il più significativo scienziato della storia perché lasciò svariati misteri irrisolti.

Questo aspetto si può collegare al linguaggio il quale, nonostante l’indubbia fertilità del suo panorama euristico, mantiene ancora delle considerevoli ed inesplorabili zone d’ombra. Per fare un esempio appartenente al dominio semiotico al quale anche la lingua appartiene: se guardiamo un punto rosso su un muro bianco percepiamo visivamente la loro differenza formale, ma riusciremo mai ad arrivare al concetto di rosso? Per Chomsky non ci sono ragioni di sconforto. Il linguaggio umano rimane un mistero ma non dobbiamo mai mancare di stupirci per le sue potenzialità. È l’unico strumento capace di fare un uso infinito di mezzi finiti. E in virtù di ciò, dobbiamo semplicemente lasciarci meravigliare.

Festivaletteratura