È così semplice farsi chiamare al femminile
9 9 2023
È così semplice farsi chiamare al femminile

Vera Gheno racconta il ruolo della lingua nella narrazione di genere

A proposito di trovare le parole, partecipare a un evento di Vera Gheno produce una strana contraddizione. Quando si esce dall’evento di parole in testa se ne hanno tante. Parole nuove, parole conosciute, parole che assumono un significato diverso e rivoluzionario. Quelle che mancano, invece, sono le parole per descrivere la forza di quello che si è appreso, o meglio, quello di quello di cui solo ora ci siamo resi e rese conto.

Dalle parole si parte anche per analizzare come è narrata la violenza di genere e come si affronta "la questione femminile", concentrandosi in particolare su un'importante definizione del contesto in cui questi racconti si muovono: il patriarcato. Dal vocabolario Treccani, il patriarcato è definito antropologicamente come «sistema sociale in cui vige il 'diritto paterno', ossia il controllo esclusivo dell'autorità domestica, pubblica e politica da parte dei maschi più anziani del gruppo». Un sistema che, come dettato dall’ageismo, pone al centro il maschio più anziano, dotato in quanto tale di potere assoluto. Concezione del mondo dalla quale nel XVII secolo nasce l’idea di famiglia tradizionale, su cui si basa la nostra società.

È giusto essere consapevoli che il nostro utilizzo del linguaggio inevitabilmente parte da lì. Chi lo nega, afferma Gheno, non ha studiato la storia e non è nemmeno totalmente cosciente del presente.

L’effetto sulla realtà è evidente. Si è superato (o almeno dovrebbe) lo stereotipo biologico per cui le donne avrebbero una conformazione tale da non consentire di svolgere certi ruoli o di compiere determinate scelte. Stereotipo nato quando gli uomini erano riusciti a sfatarne un altro, secondo cui i corpi delle donne puzzavano o nascondevano al loro interno demoni e strani mostri: una volta scoperta la diversità anche interiore delle donne, gli uomini l’hanno utilizzata come scusa perfetta per imporre ulteriormente il loro potere, rappresentando le donne come una loro una brutta copia, imperfetta. A contrastare questo apparente superamento i dati attuali, che parlano chiaro. Basta guardare chi più durante il lockdown da Covid-19 ha perso il lavoro, la donna che deve curare la casa tutelando l’uomo bread-winner, o soffermarsi sulla questione della medicina di genere, prendendo come esempio la storia del Viagra, nato per curare l’endometriosi. Questa società patriarcale, insomma, non è fatta per i generi "altri". Essi sono ospiti, molto spesso non ben tollerati. «Vi rendete conto cosa vuol dire essere ospiti in una società? Che questa non sia a misura tua?», come non lo sono la medicina, la scienza, la letteratura (romanzi rosa), l’urbanistica e il design (perché nessuno si è mai chiesto come costruire una cintura di sicurezza che possano indossare anche le donne in gravidanza? O come realizzare un cellulare che stia nelle mani di una donna?).

Di tutto questo non ci accorgiamo, è normale. Nasciamo e siamo educati all'interno di un sistema patriarcale, per cui ci viene naturale usare il maschile per indicare ogni cosa. Questo Gheno lo percepisce anche solo sfogliando l'antologia delle superiori, che un tempo considerava moderna: su 150 firme solo 12 sono donne, trascurando così moltissime opere, cui non è mai stata data l’opportunità di essere studiate. È evidente, quindi, come il canone entro il quale siamo da subito immersi sia patriarcale, anche se pochi lo percepiscono come un problema. Fin da bambini e bambine siamo inconsciamente portati a considerare di valore solo quello che è prodotto da uomini. Il patriarcato ha anche il grande vantaggio di non scomodare chi già si trova al potere: chi si deve fare domande, infatti, sono gli altri. Gli unici che non danno importanza alle parole sono quelli a cui queste non hanno mai pesato, secondo la sociolinguista.

Per dimostrare come la risposta più comune a chi cerca di capire perché ancora oggi esiste il patriarcato ai «perché è sempre stato così”» Gheno racconta, anticipando una puntata di Amare parole, di una mail che le è arrivata da un ascoltatore: il contenuto è un elogio alla “ancora pregna di senso” normalità, che rimpiange i vecchi tempi in cui non si cercava di imporre un terzo genere “esistente solo nelle menti di alcune persone” e in cui le donne ancora si comportavano come tali. Una concezione della donna marginale e relegata a se stessa, spin-off dell’uomo, che esiste dalle origini della storia. La donna come costola, accessorio creato solamente per allietare la noia dell’uomo. Una lingua con radici lontane non può che riflettere queste idee, replicando uno sbilanciamento nei rapporti di potere. Una lingua, quindi, a tutti gli effetti patriarcale e che per questo rende tanto complesso quanto più che mai necessario avviarsi verso la sua decostruzione.

Altri esempi di sessismo linguistico quotidiano sono evidenti negli insulti. "Puttana" è la parola con più sinonimi al mondo, e la più utilizzata per insultare una donna. Non si insulta quindi quello che pensa, fa o è ma, la frequenza dei suoi presunti rapporti sessuali. Per insultare un uomo, invece, è sufficiente insultare le sue donne e dare implicitamente a loro la colpa. È quella che nei giornali ogni volta che si parla di femminicidio indichiamo come vittimizzazione secondaria: la donna è morta o è stata stuprata perché troppo disinvolta o troppo amata, mentre l'uomo è incolpato perché fragile.

Cosa possiamo fare per cambiare la situazione? Agire subito, con costanza e nel nostro quotidiano. Basta praticare quello che Gheno chiama microfemminismo. Pensare alle parole che si usano, educare le prossime generazioni e le persone che ci circondano che patriarcato non vuol dire odiare gli uomini e femminismo non è istituire una società basata sulle donne che portano avanti le stesse dinamiche di potere. Smettere di usare l’articolo davanti ai cognomi di donna (LA Meloni ma mai IL Salvini) e chiamare le professioni al femminile senza diminuirne il valore. «Non tutti nasciamo per stare sulle barricate» afferma la scrittrice, ma tutti possiamo prenderci la responsabilità della lingua che usiamo nel nostro quotidiano.



Qui la bibliografia dei testi citati dall’autrice durante l’evento:

Per soli uomini (2021).

Parole daltro genere (2023).

Queer. storia culturale della comunità LGBT+ (2023).

Il dizionario dell’Italiano Treccani (2022).

Tesi per una scuola democratica (2019).

Dieci tesi per l’educazione linguistica democratica.

Lingua e Essere (2021).

Festivaletteratura