E in mezzo: i libri
6 9 2023
E in mezzo: i libri

Migrazioni e conflitti identitari: la voce di Julya Rabinowich

È una storia d’integrazione, fatta di volontà e determinazione quella che Julya Rabinowich presenta a Festivaletteratura per la prima volta. Originaria di San Pietroburgo e trapiantata a Vienna da bambina, Julya Rabinowich è scrittrice, drammaturga e pittrice, oltre ad essere stata interprete in un campo profughi per anni. Nella suggestiva cornice di Palazzo della Ragione, incalzata da Bianca Pitzorno, l’autrice ha l’opportunità di raccontarsi al pubblico, presentando E in mezzo: io e E in mezzo: noi, a cui seguirà il terzo libro, che dovrebbe essere tradotto col titolo L’odore di fuliggine di rose. I primi due libri presentati sono un prequel e un sequel di una trilogia che ripercorre la storia della quindicenne Madina e della sua famiglia, della fuga pericolosa dalla guerra e della difficile integrazione nella Vienna degli anni ‘70.

Rabinowich racconta che nella genesi del romanzo la famiglia era cecena - una caratteristica derivata dalla sua esperienza come interprete al servizio di famiglie cecene nel momento della diaspora. In ultimo però la provenienza della famiglia resta velata. La scelta programmatica di non specificare alcuna nazionalità è dovuta a una precisa volontà dell’autrice: la privazione delle radici, la difficoltà del migrante che si trova diviso tra due culture, la ricerca della propria identità e i tentativi di esprimerla in una lingua estranea, la mediazione tra passato e presente, rendono la storia di Madina e della sua famiglia una storia collettiva. La condizione del migrante è senza nazionalità.

Come accade spesso nelle famiglie di migranti i ruoli sono sovvertiti: la figlia adolescente Madina, imparando presto il tedesco, si deve prender carico della mediazione linguistica. A lei spesso sono affidate le pratiche burocratiche. Madina sprona i genitori all’apprendimento della lingua, i quali comprendono presto che solo la padronanza della lingua rende liberi e che non è possibile alcuna integrazione senza una partecipazione attiva.

La narrazione si ramifica per seguire il percorso di ciascun membro della famiglia, dalla zia sempre di malumore che accetta senza remore di imparare la lingua, alla nonna, che risulta il personaggio più di ogni altro dotato di un giudizio istintivo.

Madina è cresciuta in un sistema patriarcale. Nonostante questa eredità, cerca di stimolare all’emancipazione la madre, esortandola a svolgere in autonomia le incombenze quotidiane. Le figure femminili sono quelle dotate di maggiore spirito di acclimazione, riuscendo a adattarsi meglio al contesto culturale e linguistico. «Il rapido adeguamento è dovuto alla condizione delle donne: in un sistema patriarcale sono sempre costrette ad adattarsi alle condizioni imposte dall’uomo» osserva Rabinowich. Diversamente, il padre appare come una figura castrata, impossibilitata a esercitare il ruolo di capo famiglia in un contesto ostile, trovandosi ostacolato da vincoli linguistici e culturali. Ciò che accade è che i personaggi maschili si rifugiano in un rassicurante passato, diventando fautori del sistema patriarcale di provenienza.

Come precisa Rabinowich: «Non parliamo solo di migrazioni, ma di cambiamento. La migrazione mette nelle condizioni il migrante di doversi adattare».

In chiusura la scrittrice si manifesta preoccupata per il crescete clima di xenofobia, che si avverte in una collettività sempre più respingente nei confronti dei migranti. La scrittrice rinnova l’invito all’accoglienza contro la discriminazione e l’indifferenza. In fondo, per Julya Rabinowich scrivere non è altro che un modo per non starsene con le mani in mano, per fare in modo che il dolore inutile possa essere evitato.

Festivaletteratura