Giallisti per scelta (degli altri)
10 9 2022
Giallisti per scelta (degli altri)

Lemaitre e Lucarelli si confrontano su regole (e limiti) del genere noir, e su come scrivere il finale.

Chiamateli giallisti se volete: Carlo Lucarelli e Pierre Lemaitre ci sono ormai abituati. Ma se dipendesse da solo, si definirebbero solo scrittori. «Non mi colloco in nessuno dei generi letterari, perché quando lavoro gli oggetti della cassetta degli attrezzi sono gli stessi, sia che stia scrivendo un noir, sia che stia scrivendo un romanzo storico» spiega al pubblico mantovano lo scrittore francese, che presenta al pubblico di Festivaletteratura il suo ultimo romanzo storico Il gran mondo.

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Ma se gli attrezzi sono gli stessi, il canone cambia di genere in genere. E il giallo ha una regola d’oro: quando si inizia a scrivere un libro, se ne deve già conoscere la fine. «Il lettore rivede il suo giudizio del libro a seconda della fine. Un libro fatto bene ma con un fine scadente lascia un brutto ricordo», spiega Lemaitre. Per sfuggire quindi all’angoscia del finale, l’autore francese non inizia mai a scrivere senza prima aver formulato una conclusione. «Di solito dico questo ai miei editori, quando mi chiedono a che punto sono: il mio libro è concluso. Ora mi resta solo scriverlo». Viaggia controcorrente Lucarelli, che «scrive per sapere come finirà la storia», perché la storia tende ad arrivare «quando vuole lei». Con la conseguenza che l’autore italiano vive nell’angoscia, sentimento condiviso con i suoi editori. «Al mondo esistono due tipi di scrittori: gli scrittori che puntano sul talento, e chi punta sul lavoro. Lucarelli sicuramente rientra nella prima categoria», afferma Lemaitre.

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Due fenotipi diversi di autori, Lucarelli e Lemaitre, che condividono però la stessa visione di scrittura, in bilico tra intuizione e lavoro artigianale. «Quando ho un personaggio che mi racconta un’atmosfera, aspetto la scintilla che faccia partire la storia, ovvero cosa potrebbe fare quella persona se succedesse un certo avvenimento», dice Lucarelli. Pensiero che si riflette nelle parole dello scrittore cisalpino, che da anni ha adottato due principi di forza uguale e contraria: «diffida della scrittura», e «dai fiducia alla scrittura». Che in parole semplici significa lasciare margine all’intuito, in modo tale che la storia possa “allungare le gambe” a piacimento, avendo però ben in mente dall’inizio un’idea di struttura del libro, degli eventi e del finale.

Durante la chiacchierata, i due scrittori hanno anche sdoganato un falso mito della scrittura, secondo cui il romanzo nasca quando si ha qualcosa da dire. Per lo scrittore italiano, «La storia nasce quando c’è qualcosa nel mondo su cui voglio riflettere». Dove i libri di Lucarelli nascono come reazione al mondo esterno, le storie di Lemaitre nascono dall’autoanalisi. «Credo che ogni scrittore abbia due, massimo tre cose da dire in tutto, e che libro dopo libro cerchi di dirlo in modo corretto. In questo la letteratura può essere considerata una psicoanalisi permanente. Con il bonus, però, che gli scrittori sono pagati per farla» spiega ridendo Lemaitre al pubblico.

Festivaletteratura