Un viaggio tra i cuochi dei dittatori
Witold Szabłowski, introdotto dalla scrittrice Federica Manzon, racconta la sua storia, che ha inizio nella Polonia della transizione tra comunismo e capitalismo con un evento drammatico: nel corso della trasformazione del sistema economico il padre e la madre persero il lavoro. Ha quindi iniziato a viaggiare negli altri paesi per vedere come questo drastico cambiamento fosse stato percepito, i pro e contro, quale fosse l'equilibro raggiunto tra stabilità economica e libertà. Szablowski ricorda anche com'è stato crescere all'ombra di Stalin, anche se, ammette, lo hanno sempre affascinato la dittatura, il suo funzionamento, la sua origine e le sue motivazioni: per questo ha scritto Orsi danzanti (2022).
Nel
libro si racconta di personalità incredibili dell'Est Europa (ma
anche cubane o londinesi), che, come gli orsi bulgari, pur essendo
libere provano nostalgia per i tempi in cui erano in cattività.
Ci si concentra, poi, su figure inaspettate dell'interno dell'apparato dittatoriale: figure apparentemente piccole come i cuochi dei dittatori, in secondo piano ma in realtà molto importanti perché possono ascoltare ogni segreto. Lo spunto nasce dalla stessa storia dell'autore, che ha un passato nelle cucine di Copenaghen, prima come
lavapiatti poi come chef: attratto dalle storie curiose di chi
lavorava nel settore, lo divertivano e incuriosivano (anche perché non è
esattamente semplice trovare cuochi di dittatori).
Ha
conosciuto lo chef di Saddam Hussein, che appena assunto è
minacciato di morte (lui e la moglie) nel caso gli fosse sfuggita
mezza parola di quello che sentiva in casa. Erano persone che
dovevano restare in sordina. Il tempo speso per trovarli era
infinito, ma ne valeva sempre la pena. I dittatori parlano per slogan
e dicono bugie, tranne ai propri chef personali. E ai medici.
«Make
Cambogia great again» decantava Pol Pot, che poi detestava la
cucina cambogiana e amava le baguettes, come rivelò la sua
cuoca. Ma, nonostante tutto, quello che emerge dai racconti dei cuochi e delle cuoche è comunque un legame coi propri capi. L'unico che ha espresso delle critiche verso il suo superiore è
stato lo chef di Fidel Castro, che decise di unirsi a Che Guevara, di cui diventò addirittura la guardia del corpo: «Penso che
questa rivoluzione sia sbagliata Fidel, ma te lo dico in confidenza,
non dirlo in giro».
Al
cuoco del dittatore albanese Enver Hoxha, Szablowski invece non riuscì a
strappare mai il nome: così l'ha chiamato Mr K, come una spia
britannica. Questo capocuoco venne a sapere che il suo predecessore
era stato giustiziato per sospetto avvelenamento del boss. Decise
allora di informarsi su cosa gli cucinava la madre da piccolo: pian
piano divenne esperto nel ricreare la cucina materna del despota e
questo gli salvò la pelle. Un giorno abbracciava Szablowksi e gli
diceva che era un fratello, un altro era scostante e rabbioso e
sbraitava che non poteva parlare perchè la sua famiglia sarebbe
stata trucidata altrimenti.
Al termine di questi aneddoti, l'autore si concentra su quanto le menzogne dei dittatori rallentino l'emergere della verità, citando come esempio Putin (nipote di un famosissimo chef) e la guerra in Ucraina: sarà questo il tema del prossimo libro che sta scrivendo. Quando ha scritto Orsi danzanti pensava di essersi soffermato troppo sull'Europa Orientale, ma con il passare degli anni si è reso conto del rischio cui anche il mondo occidentale sta andando incontro: l'indebolimento generale delle democrazie. I dittatori per Szablowski nascono dal rancore, da passati drammatici se non tragici: «Per questo nel mondo è un momento molto propizio per tanti orsi danzanti».