Il bisogno di testimoniare
10 9 2021
Il bisogno di testimoniare

Francesca Melandri e Marco Balzano: Muoversi fra le pieghe della contemporaneità

Scrivere è una forma di testimonianza, è prestare ascolto alle voci anonime della Storia per renderle eterne. Questo potrebbe essere il filo comune che unisce Marco Balzano e Francesca Melandri, in dialogo questa mattina in piazza Castello assieme a Bianca Pitzorno, che li presenta come autori molto diversi eppure allo stesso tempo molto simili – e non solo per aver scelto l’Alto Adige come scenario di alcuni loro romanzi.

Sangue giusto di Francesca Melandri e Quando tornerò di Marco Balzano stavolta non hanno in comune l’ambientazione, tuttavia condividono l’attenzione per i temi dello sradicamento e della migrazione; se la Melandri, inscenando la vicenda coloniale e familiare di Attilio Profeti, riflette sul tema dell’appartenenza affettiva e corporea di una persona straniera ad una famiglia, Balzano d’altra parte con il suo ultimo romanzo vuole porre nella giusta prospettiva il fenomeno migratorio, spesso appiattito o generalizzato dalla cronaca quotidiana.

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«Voglio mettere sotto gli occhi di tutti le questioni marginali, silenziate, obliate dall’informazione», esordisce Balzano, che poi aggiunge: «è cambiato il modo di vedere la migrazione. Il 70% dei migranti di oggi sono donne, perché l’unica cosa che non è stata possibile meccanizzare è stata la cura degli affetti familiari». Quando tornerò è infatti «una storia di cura»; questa è la parola scelta dallo scrittore per sintetizzare il suo libro, che parla di una migrazione che fingiamo di non vedere ma che è diventata un elemento strutturale della nostra società. Una storia di donne come Daniela, la protagonista, che svolgono un lavoro che noi non possiamo o non vogliamo fare, ovvero prendersi cura dei nostri cari, dei nostri anziani, dei nostri figli. «Il cortocircuito è che sono tutte donne-madri», afferma tuttavia Balzano, «è necessario parlare di loro perché sono protagoniste del nostro mondo», continua. «In un periodo denso di dibattiti attorno ai diritti delle donne, la letteratura deve fare la sua parte», incalza l’autore, invitando il pubblico a non leggere le sue parole come un atto di accusa bensì come una forte presa di coscienza sulla questione, che sottende anche una riflessione sulla lingua e sulle dinamiche di imposizione frequentemente al centro delle storie di migranti.

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Se la Melandri afferma a tal proposito di aver tentato di mettere in mostra il fenomeno di straniamento che provoca il bilinguismo italo-tedesco dell’Alto Adige, dando degli «assaggi linguistici» al lettore, anche la protagonista di Quando tornerò – ma anche di Resto qui – una volta giunta in Italia condivide lo stesso problema. La questione linguistica infatti è anche una questione di pensiero. «La prima cosa che ti mancherà sarà il rumeno» si legge in uno dei dialoghi del libro di Balzano: trasferirsi in un altro paese presuppone infatti la perdita della lingua con cui siamo capaci di esprimere i nostri sentimenti; siamo privati del nostro specchio del pensiero, per far posto a un idioma straniero che rischia di cancellare la nostra memoria di appartenenza.

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L’attenzione alle figure silenziate dalla cronaca e dall’informazione, ma diventate ormai pilastri della nostra società, diventa a questo punto il pretesto per spostare l’attenzione sul meccanismo creativo e sull’officina dei due narratori presenti stamani. Per la Melandri scrivere significa esplorare nuove terre, l’atto creativo equivale a «bere realtà». Questo non presuppone tuttavia una mimesi o una imitazione di essa, bensì si converte in un meccanismo con il quale ricercare un annullamento del sé, così da creare uno spazio nel quale inserire qualcosa che non appartiene al proprio io, dove nascondere il più possibile la voce autoriale per fare largo alla voce dei personaggi.

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Balzano d’altro canto condivide in parte il tentativo di rifuggire l’autobiografismo. Citando I sentieri dei nidi di ragno, afferma infatti che «si può essere autobiografici una sola volta»; tuttavia «il discrimine dipende da quanto ti ha mutato quello che hai raccontato, quanto acquisisci dalla letteratura e quanto questa ti cambia» conclude.

La letteratura deve essere mossa dunque dall’urgenza, dalla necessità. Ed ecco che la scrittura non diventa più qualcosa per persone solitarie, chiuse in una stanza in compagnia di personaggi di finzione, ma si trasforma in uno strumento che deve spingere ad uscire da sé e ad andare incontro all’altro. Per dirla con Balzano quindi, «farsi carico di storie e saperle restituire in modo più ampio attraverso la letteratura è il sogno più bello che posso immaginarmi».

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