Il bosco di Orlando e del Canton Ticino
7 9 2019
Il bosco di Orlando e del Canton Ticino

Il dolore della follia e il canto della Svizzera

I boschi del Canton Ticino hanno l’odore del muschio e delle foglie cadute a terra, il loro silenzio è compagno di chi li attraversa. Nessun bosco è uguale a un altro, ma tutti nascondono, dove la luce non riesce più a farsi spazio, qualche vita che si rifugia, qualche anima simile a quelle delle egloghe virgiliane, che contano i mesi al rigoglio della primavera e dialogano con i tronchi caduti. Annalisa, una delle protagoniste di Fuori per sempre di Doris Femminis, incarna uno di questi personaggi misteriosi che nella solitudine attribuisce alle foglie e ai rami gli stati d’animo della sua gente. La sua storia trova la vita sulle labbra della sorella Giulia, ricoverata nell’ospedale psichiatrico del paese che, per ricucire la sua giovinezza, scava nella memoria familiare.

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In questa intimità che unisce luoghi e vite diverse, si fa spazio la dirompente Alex Sanders, furia implacabile in continua fuga. Le tre protagoniste, così distanti, sono unite dallo stretto braccio della follia che incarna quasi una presenza invadente. La follia chiude Giulia e Alex in un ospedale e Annalisa nel perimetro di un bosco che vuole essere fuga dagli spazi abitati e dalla possibilità di guarire. Il bosco come quello che accoglie la pazzia di Orlando quando vede «scritti molti arboscelli in su l’ombrosa riva» e il chiaro colore delle stanze dell’ospedale che ricorda il bianco della luna su cui Astolfo recupera il senno dell’amico furioso. Un paragone che non può essere una soluzione, come afferma Doris Femminis, perché «non si recupera il senno sulla luna, ma dentro di sé».

È un lavoro lungo e faticoso, a volte occorrono anni o vite intere, perché è delicato il cammino per curare chi è spezzato. Dopo aver lavorato quasi trent’anni in un ospedale psichiatrico, Doris Femminis ha incontrato molti volti assenti, molti persi, molti soli e con cura e pazienza si è chinata per raccoglierli tutti. Perché il dolore estremo della follia può essere talvolta anche via di rivelazione. Questa è la strada su cui camminava Alda Merini quando, dopo otto anni di ospedale psichiatrico, scriveva: «dico spesso a tutti che quella croce senza giustizia che è stato il mio manicomio non ha fatto che rivelarmi la grande potenza della vita». Per lei, quel dolore purificante che l’ospedale le aveva mostrato, era stato infatti occasione per uno sguardo nuovo e un cuore più aperto, teso oltre l’incomprensione della follia e il silenzio della solitudine.

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