Il carteggio Goethe-Schiller
7 9 2023
Il carteggio Goethe-Schiller

lo scambio epistolare tra il poeta apollineo e il poeta dionisiaco che ha cambiato il modo di vedere e intedere la forma d'arte

Era il 13 giugno 1794 quando Friedrich Schiller scriveva per la prima volta a Johann Wolfgang Goethe, dando inizio ad uno segli scambi epistolari più importanti e prolifici per la letteratura tedesca e per l’intero panorama culturale europeo, dal Romanticismo ad oggi.

Più di due secoli dopo, sono i germanisti Maurizio Pirro e Luca Zenobi a curarne l’edizione integrale italiana (Carteggio 1794-1805) e a parlarne a Festivaletteratura insieme alla giornalista Natascha Fioretti.

Per i due dioscuri della letteratura tedesca – chiarisce subito Pirro – non si trattava di un semplice scambio di notizie: nel caso di questo carteggio «la funzione più comune dell’epistolario dell’epoca è arricchita dall’insieme delle considerazioni che i due si scambiavano in momento decisivo per la loro crescita intellettuale», influenzandosi significativamente l’un l’altro.

Benché topograficamente marginali (arroccati nella piccola Weimar), nelle 1013 lettere che si scambieranno fino alla morte prematura di Schiller, i due pensatori «riusciranno a disegnare una teoria globale omnicomprensiva». A partire dalle discordi opinioni di carattere filosofico, letterario, politico ed estetico nascerà un sistema articolato di considerazioni in qualche modo complementari.

Ma se da un lato possiamo affermare con certezza che tanto Goethe quanto Schiller siano stati determinanti per la nascita del primo romanticismo, è altrettanto vero che nella ricezione italiana «i due hanno un peso e un destino diverso», specifica Zenobi.

Lo squilibrio è evidente: «in un modo o nell’altro, abbiamo tutti sentito parlare di Goethe, del suo Viaggio in Italia o dei dolori del suo Giovane Werther», mentre Schiller? Forse in pochi sapranno che c’è lui dietro alle arie di Verdi, di Puccini o addirittura di Beethoven (sì, proprio quelle delle suonerie di tutti gli Android).
Alle radici di questo sbilanciamento c’è sicuramente la palpabile differenza di tono e stile nelle lettere del loro carteggio.

Quando questo scambio ha inizio, «da un lato c’è una vera e propria istituzione, dall’altro un ex giovane ribelle che sta cercando ancora la sua posizione all’interno del panorama culturale dell’epoca in cui vive». Da un lato c’è Goethe, che sul suo tempo esercitava innegabilmente una benefica dittatura, dall’altro… solamente Schiller. È quindi inevitabile che assumano una postura diversa nel rivolgersi l’uno all’altro: Schiller scrive consapevole della sua minorità, Goethe risponde mostrando generosa benevolenza. Pirro e Zenobi lo riconoscono, è facile empatizzare con Schiller quando lo si legge profondersi in ogni possibile sforzo per sembrare degno della considerazione del collega, pervaso dall’urgenza di sembrare intellettualmente credibile (e Zenobi lo sa bene, essendosi occupato della traduzione di tutte quelle labirintiche ipotassi!).

A Schiller va riconosciuta però una grande abilità: quella di aver intimamente compreso il suo collega e di averlo fatto sentire visto nella sua grandezza (parafrasando, la si potrebbe definire come la pazienza e la fatica di aggirare il grande narcisimo di Goethe in modo da appianare la dinamica squilibrata che inizialmente regolava il loro rapporto). Alle loro posizioni, infatti, decide di attribuire un carattere simbolico: non si tratta di una differenza di carattere, ma di due modi differenti «di intendere l’esercizio della forma». Descrive il collega come un poeta greco nato nell’epoca sbagliata, mentre il povero Schiller non si definisce che un poeta dionisiaco, quasi profano nel suo dibattersi per mettere in ordine la materia.

La sintesi tra queste due attitudini non emergerà soltanto nel carteggio (di cui non si faranno spoiler), ma verrà più nitidamente colta dallo stesso Schiller nel suo Sulla poesia ingenua e sentimentale. Messe in scena come due differenti polarità, i protagonisti dello scambio epistolare di cui Pirro e Zenobi si sono occupati, si incarnano in due poesie contrapposte: quella ingenua e quella sentimentale. Quella antica, caratterizzata dalla prodigiosa capacità di organizzare in modo sintetico la materia, e quella moderna, a cui il mondo non si offre in maniera esteticamente organizzata e che deve combattere contro la riottosità a disporsi plasticamente. Quella di Goethe e quella di Schiller.

Possiamo dunque dire che il lascito più grande del carteggio è stato quello di aver contribuito ad ipotizzare una sintesi tra queste due modalità eterogenee di intendere la poesia e la materia.

E in mezzo a tali divagazioni, quello squilibrio che inizialmente aveva caratterizzato lo scambio tra i due dioscuri, nel corso del tempo (e grazie alle ipotassi di Schiller) riesce silenziosamente a tramutarsi in uno scambio biunivoco, in un fecondo esercizio di crescita e, inaspettatamente, anche in un’amicizia profonda.

Festivaletteratura