Il clima della polis
12 9 2020
Il clima della polis

Mary Robinson: perché parlare di ingiustizia climatica è un dovere politico

No man left behind. È questo lo scopo finale della climate justice, ideologia che legge il cambiamento climatico come una problematica etica e politica (oltre che ambientale). A parlarcene la politica Mary Robinson, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani dal 1997-2002 e scrittrice di un libro dal titolo Climate justice. Manifesto per un futuro sostenibile. A fare da contraltare Giorgio Vacchiano, esperto di foreste e della gestione e pianificazione ambientale, per ribadire come il benessere, il progresso dell’uomo sia possibile solo se c’è un rapporto simbiotico con l’ambiente che abitiamo.

Ma come nasce l’idea del cambiamento climatico come problema politico? Perché, banalmente, è un problema che interessa la comunità, e la politica nasce per risolvere i dilemmi della polis; la lentezza con cui il cambiamento climatico è entrato a far parte dell’agenda setting, dipende dal fatto che fino a 10-20 anni fa questo problema non era così visibile, ma di fatto il nostro abitare il pianeta Terra è sempre stato un problema.

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La soluzione a questo problematica, spiega la dottoressa Robinson, è mettere l’uomo al centro di ogni nostra possibile operazione: «dovremmo essere al centro ma in modo umile», abbandonando quella visione uomo-centrica che mette i bisogni dell’umanità sopra quelli dell’ecosistema che abita.

Questo riequilibrio di bisogni va fatto anche nelle relazioni uomo - uomo. Il cambiamento climatico infatti è un’ingiustizia su più fronti:

  • - È un’ingiustizia nei confronti della Natura, vista sempre come oggetto e mai come soggetto;
  • - È un’ingiustizia nei confronti dei Paesi in via di sviluppo, che sono i minori responsabili dell’aumento delle temperature ma i più colpiti e anche quelli meno preparati in termini di skills ad affrontare il cambiamento climatico;
  • - È un’ingiustizia nei confronti delle generazioni che verranno, che non avranno la nostra qualità di vita;
  • - È un’ingiustizia di genere, perché è chiesto alle donne di portare cibo e acqua in tavola anche se statisticamente sono quelle con minor lavoro e/o competenze;
  • - È un’ingiustizia razziale, perché le comunità afflitte dai cambiamenti climatici non solo sono povere ma di solito sono anche fatte perlopiù da indigeni o POC (person of color).

    Sono proprio quest’ultimi, i POC, gli indigeni, uomini e donne in prima linea che vivono i disastri climatici, le sentinelle che dovremmo ascoltare; non a caso il libro della Robinson è fatto di storie, della vita di «9 donne e due good man» che guidano la loro comunità, cercando metodi alternativi per combattere l’alzamento delle temperature.

    Le conoscenze delle comunità indigene sono una componente estremante importante di quella che Vacchiano definisce "citizen science", soprattutto perché è stato provato più volte che gli ecosistemi mantenuti da queste comunità sono molto più resilienti dei territori curati con tecniche occidentali. Unire metodi indigeni e scienza potrebbe essere la soluzione per preservare al meglio la Terra. Ma una soluzione nuova richiede anche vocaboli nuovi, a partire dal nome che usiamo per riferirci alle conoscenze delle comunità aborigene. Il fatto stesso che siano chiamate "conoscenze antiche" le pone in un piano inferiore rispetto alle metodologie scientifiche, quando in realtà sono tecniche che per secoli hanno funzionato e hanno dimostrato la loro riproducibilità, come il metodo galileiano richiede. Semplicemente, questa riproducibilità è visibile e sperimentabile non in laboratori chiusi, bensì nel laboratorio più grande del mondo: la Terra.

    Con il Covid la questione climatica sembra esser stata messo da parte (anche se il virus è frutto degli stessi comportamenti che hanno portato a un livello preoccupante di gas serra nell'atmosfera). Allo stesso tempo, questa pandemia ci ha insegnato due cose che possono essere applicate anche quando si parla di cambiamento climatico: da una parte che i comportamenti umani collettivi possono essere modificati a favore della Natura (il lockdown ha abbassato effettivamente le emissioni di anidride carbonica); e in seconda battuta, che le Nazioni che hanno reagito meglio alla pandemia sono guidate da donne. Non a caso alcune edizioni inglesi del libro della Robinson hanno come sottotitolo A man-made problem with a feminist solution: solo una visione femminista e simpoietica può portare al mitigamento del cambiamento climatico.

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