Il cuore profondo dell’America rurale
8 9 2022
Il cuore profondo dell’America rurale

Il lato oscuro del Sogno Americano: Sarah Smarsh racconta la povertà nel paese più ricco del mondo.

«Venivamo da un posto, le Grandi Pianure, disdegnato dagli angoli ben più abbienti del Paese in quanto considerato un immenso deserto culturale. “Campagna da sorvolare”, la chiamavano, come se il solo camminarci in mezzo costituisse un pericolo. I suoi abitanti erano “retrogradi”, “bifolchi”. Forse perfino “spazzatura”»; scrive così Sarah Smarsh nelle prime pagine del suo Heartland, un memoir che da una parte racconta la storia della propria famiglia, originaria del Kansas, mentre dall’altra offre fin dal sottotitolo un’indicazione interessante che apre lo scenario su alcuni dei più controversi risvolti del sistema economico e sociale americano. Di fatti, il libro pubblicato da Edizioni Black Coffee sottotitola al cuore della povertà nel Paese più ricco del mondo, e qui sta il nucleo del racconto e dell’indagine della scrittrice americana.

Il libro presenta la storia familiare degli Smarsh lungo cinque generazioni, tuttavia, annota Francesco Costa – in dialogo con l’autrice americana – un personaggio spicca su tutti, ed è la povertà, che attraversa e segna le esistenze di tutti i membri della famiglia. Ma cosa significa essere poveri negli Stati Uniti? L’analisi non può essere univoca, in quanto spesso le persone non sono in grado di fornire un’espressione per verbalizzare questa condizione oppure preferiscono nascondere la questione. Si genera pertanto un sentimento di orgoglio che porta a nascondere la propria indigenza, un senso di vergogna che spinge le persone ad andare oltre le proprie possibilità pur nella consapevolezza di non essere in grado di sostentarsi.

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La consapevolezza di essere poveri spesso manca nelle persone, specie se appartenenti alla razza bianca; Smarsh nel libro evidenzia come l’esistenza di una categoria di persone povere e bianche si scontri, nell’opinione pubblica, con i principi alla base del Sogno Americano: «i poveri bianchi sono un insulto al Sogno Americano, quella dei neri è giustificata dal colore della pelle. Se sei povero e bianco ti diranno che è colpa tua, che hai perso tempo, hai sperperato le tue potenzialità», scrive l’autrice. Negli Stati Uniti il dibattito sul concetto di “classe sociale” non è molto diffuso, vi è la tendenza ad analizzare la società per etichette per cui il binomio povero-bianco appare riluttante, una minaccia allo status quo.

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Attraversando cinque generazioni segnate da una catena di incidenti e di sventure – in particolare le gravidanze adolescenziali delle donne di famiglia, ma anche incidenti stradali, traslochi, tossicodipendenze – il libro riflette anche su quanto la agency, la libertà di azione, abbia spazio nelle vite di queste persone. È possibile rompere la catena della povertà; l’ambiente in cui nasci e cresci segna l’esistenza delle persone indigenti ma vi è comunque possibilità di crescita ed emancipazione, è possibile trascendere le linee di classe. Ecco che la scelta di rivolgere la narrazione a una figlia mai nata, August, è un modo per spezzare perciò la catena di disavventure e sottrarsi al destino feroce e già scritto, evitando così di dare a sua figlia la vita che tutte le donne della famiglia hanno avuto. Quella bambina, pur non esistendo realmente, è infatti una presenza molto forte nella mente della scrittrice, è la sorgente della forza che l’ha aiutata a uscire dalla povertà in cui è cresciuta.

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La povertà ha quindi caratteristiche non solo sociali ed economiche ma anche psicologiche, culturali e persino politiche. Costa sottolinea come certa politica americana ammicchi spesso al ceto rurale illudendolo di essere i paladini della cultura popolare. Non a caso il libro è stato uno dei più letti sotto la presidenza Trump; spesso infatti la scelta ricade su figure che fingono di fare l’interesse di quelle classi sociali, le quali sull’onda di un sentimento diffuso e senza gli strumenti adeguati per l’approfondimento si lasciano convincere che sia la scelta giusta da fare, come accaduto alla madre di Sarah, che, racconta, scelse di votare Reagan negli anni ’80 ma che adesso riconosce di essersi spostata su posizioni più vicine ai Democratici. Questo perché, sostiene la scrittrice, la gente proveniente dalle aree rurali ha comunque una sensibilità verso le tematiche dei diritti, incarna, pur nella diversità di linguaggio e di estrazione sociale, certi sentimenti progressisti.

Presentando storie spiazzanti e talvolta avventurose, Heartland è pertanto un viaggio nel cuore dell’America profonda, un percorso letterario e sociale utile e molto efficace – consigliato anche dall’ex presidente Obama – che conduce ciascuno di noi in territori che probabilmente non visiteremo mai. In quelle flyover countries che rivelano però cosa significhi essere poveri in un paese ricco e fondato su una promessa di uguaglianza. Intrecciando memoria familiare, saggio e inchiesta giornalistica, l’opera di Smarsh squarcia finalmente l’immaginario ideale del Sogno Americano, restituendoci con sincerità e profonda onestà il ritratto di un’America vera che sta iniziando finalmente a fare i conti con le storture del proprio sistema economico e sociale.

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