Il respiro delle spiritualità
4 9 2019
Il respiro delle spiritualità

La famiglia Abramitica e il dialogo interreligioso

Una parola che non si riesce a definire, un’essenza che non è possibile afferrare, una pluralità che si stringe tra i confini delle lettere, una sensibilità fine e luminosa. Le sue radici profonde affondano in terreni dai molteplici nomi, il mosaico è l’insieme faticoso da completare. La spiritualità è una «particolare sensibilità», scrive la Treccani, «una molteplicità che non si conta ma anche un Unicum che si fa grembo accogliente», ribatte Marco Bontempi. Il problema più grande e più antico, la convivenza che non trova respiro. Il monaco, Ignazio De Francesco, alza un libro, con sguardo profondo afferma: «La Costituzione ci parla di spiritualità». L’Articolo 4 risuona nell’Aula Magna dell'Università: «Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività che concorra al progresso materiale o spirituale della società».

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Ecco che il confine si allarga e la novità si affaccia: esiste un luogo in cui il monaco buddista, l’Imam, il missionario e la monaca di clausura contribuiscono al progresso spirituale della società. Un luogo in cui la loro silenziosa convivenza crea una rete di luce indissolubile che spazia e raccoglie i figli della terra.

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Ritorna così l’immagine Lapiriana della Famiglia Abramitica, i cui figli, sindaci delle capitali mondiali, erano stati riuniti dal Sindaco Santo nel convegno del 1955 a Firenze. Questo dialogo interculturale e interreligioso è ciò che può essere costruito in una cittadinanza i cui individui siano promotori dei diritti altrui: promuovere, tutelare, favorire, incoraggiare per abolire le costrizioni e le forzature, talvolta anche religiose. Il carattere sistematico di alcune religioni, afferma il monaco, ha per secoli fortificato il muro tra i popoli, impedendo ogni possibilità di dialogo. La religione islamica, nella sua perfezione architettonica, ha serbato con cura i suoi fondamenti che da secoli vengono tramandati di generazione in generazione. Perché il sangue parla e racconta, come testimonia un’antica idea islamica, che la religione dell'Islam è inscritta in ogni uomo e solo successivamente si frammenta nei particolarismi di altre religioni.

Quest’idea, per quanto contrastante con qualsiasi dialettica, può trovare fratellanza ancora una volta nelle parole di Giorgio La Pira: «la persona umana è architettonicamente costruita in questo modo; […] L’architettura della mia persona è fatta in modo che io, ad un certo punto, mi apra a una contemplazione misteriosa delle cose.» Nel sangue, nel cuore, nell’architettura della persona umana vi è indiscutibilmente una sete di spiritualità, persino nell’ambito della non credenza vi è una dimensione di ricerca spirituale: che sia di un Dio qualsiasi o il desiderio di una tensione che spinga oltre il materiale. Qui si concentra l'interesse di Bontempi, il quale sottolinea l'importanza di una spiritualità atea o laica che, presente anche tra i giovani d'oggi, contribuisce a "ossigenare" il mondo.

Il desiderio è sempre quello di risolvere il problema più grande e più antico e di saper dire le ultime parole di pace del monaco francese Christian de Chergé, vittima del terrorismo islamico, ma fratello dell’islam religioso: «E anche a te, amico dell’ultimo minuto, che non avrai saputo quel che facevi. Sì, anche per te voglio questo grazie e questo ad-Dio profilatosi con te. E che ci sia dato di ritrovarci, ladroni beati, in Paradiso, se piace a Dio, Padre nostro, di tutti e due. Amen! Insc’Allah.»

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