Il rumore ci sovrasta: appunti per un’igiene decisionale
11 9 2021
Il rumore ci sovrasta: appunti per un’igiene decisionale

Elisabetta Tola incontra gli autori Daniel Kahneman e Olivier Sibony

«Ciascuno di noi, più volte al giorno, formula dei giudizi che raramente sono uguali a loro stessi, perché nell’esprimerli generiamo sempre un certo grado di errore. Il rumore è uno di questi». La giornalista Elisabetta Tola esordisce così nel presentare Rumore. Un difetto del ragionamento umano (Utet, 2021), il nuovo saggio scritto a sei mani dallo psicologo israeliano e premio Nobel per l’Economia Daniel Kahneman, dall’esperto di pensiero strategico Olivier Sibony e da Cass R. Sunstein, direttore del Programma sull’Economia comportamentale alla Scuola di diritto dell’Università di Harvard.

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Perché accade che due giudici assegnino pene diverse a colpevoli dello stesso reato? La colpa è del rumore. Il testo è ricco di esempi concreti, tra cui quelli presi dal sistema giudiziario. Questo implica che l’imputato sia di fronte a una lotteria, che ogni sistema giudiziario può essere potenzialmente ingiusto? Per capire il focus del libro e del dibattito che vi verte intorno è fondamentale partire dalla distinzione tra l’errore comune o distorsione sistematica, noti come “bias” nel linguaggio statistico, e il “rumore”, indicato in inglese con il termine “noise”, che dà il titolo al libro. Se il primo è l’errore medio, che tutti possiamo commettere per i motivi più vari, il secondo è una variabilità di natura casuale, che non dovrebbe dipendere da fattori casuali, ma che proprio da questi ultimi è in larga parte causato.

L’obiettivo della ricerca dei tre studiosi è suggerire dei metodi per eliminare il rumore, che si definisce come qualcosa di indesiderabile, che crea squilibrio e che si presenta in una molteplicità di forme tanto numerose quanto finora trascurate e sottovalutate dai più. Per farlo occorre in primis prendere consapevolezza dell’esistenza del rumore stesso come una delle componenti dell’errore e affrontare il bias, con il quale necessariamente converge. «Il rumore è importante perché ce n’è troppo. Per essere precisi, esiste in un numero cinque volte superiore a quanto comunemente pensiamo», dice Kahneman.

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Il libro cita i risultati di migliaia di studi condotti negli ultimi decenni e prende ad esempio anche il mondo delle assicurazioni: perché due assicuratori fissano premi diversi per coprire il rischio della stessa persona? Nel pensiero comune il loro margine di errore, causato dai motivi più vari, dovrebbe aggirarsi attorno al 10%. Gli studi dimostrano, invece, che si aggira intorno al 50%. Allo stesso modo, la differenza fra condanne inflitte da due giudici diversi allo stesso imputato è quantificabile in ben quattro anni di pena. Alla luce di disparità così cospicue, è evidente che siamo di fronte a una variabilità ingiusta e inaccettabile.

Sibony spiega al pubblico che ci sono tre tipi di rumore, di cui il primo è il rumore di livello – o «level noise» – che, ad esempio in ambito giudiziario, indica il diverso modo di giudicare l’imputato a seconda che il processo sia presieduto dal giudice A, più indulgente, o dal giudice B, più severo. Il secondo è il rumore legato all’occasione – o «occasion noise» – e si verifica, ad esempio, quando il giudice A è di pessimo umore o indisposto per motivi personali. Oltre alle divergenze fra i giudici e interne allo stesso giudice, il rumore può essere originato anche dalla differenza di gusti e preferenze di ciascuno – il cosiddetto «pattern noise». Quest’ultima è la forma di rumore più diffusa perché gli esseri umani sono infinitamente diversi fra loro per storia e formazione: i giudici A e B sceglieranno un ordine di importanza diverso per i dossier degli stessi imputati, nonostante possiedano gli stessi dati su di loro. Il giudizio si pone fra il dato e l’opinione ed è proprio lì che si insidia il rumore, in larga parte sottovalutato perché ciascuno di noi è convinto di vedere il mondo e la verità così come sono e, soprattutto, che anche gli altri percepiscano la realtà così come la vediamo noi.

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Molte organizzazioni e aziende si sorprendono quando scoprono di quanto rumore influenza le decisioni che vengono prese al loro interno. Per questo il volume si propone di indicare metodi e possibilità per individuarlo e contenerlo: l’igiene decisionale è una di questi, ovvero la maggiore adesione possibile ad un pensiero disciplinato, inteso come ragionamento coerente, uniforme, omogeneo. Questo vale anche per i singoli individui, che possono sforzarsi di essere più metodici e analitici nel loro processo di scelta, bilanciando intuito e criteri oggettivi. Quando siamo consapevoli del rumore che influenza le nostre scelte diventiamo più umili e disponibili a rivedere i nostri giudizi iniziali sulla base di nuove informazioni e opinioni altrui. In situazioni di stress, inoltre, il rumore è inevitabile, dunque l’unico modo per prevenirlo è pianificare la gestione di situazioni di emergenza prima che queste si verifichino.

Ma il giudizio umano è abbastanza disciplinato per garantire le decisioni più eque che riguardano altri esseri umani? Kahneman spiazza il suo pubblico e sostiene che la risposta è nell’algoritmo. Una formula matematica asettica ma, secondo i suoi studi, più affidabile nel garantire l’imparzialità di giudizio perché «noise-free», svincolata dall’influenza del fattore rumore. L’algoritmo, a differenza di un essere umano, è in grado di consegnare due risposte uguali a una stessa domanda posta in due momenti diversi. Può sembrare paradossale, ma gli autori assicurano che nel sistema giudiziario americano, quando si tratta di decidere o meno per la libertà vigilata di un imputato in vista del processo, gli algoritmi sono più giusti e imparziali di un giudice perché si basano sulla misurazione oggettiva di dati come il numero dei posti disponibili in carcere e la probabilità di recidive tra chi viene lasciato libero. L’intervento dell’algoritmo sembra contribuire davvero ad abbassare il numero di recidive e di detenuti per ingiusta causa e, dal punto di vista dell’autore, questo dovrebbe rincuorare dal timore che il suo uso assolva in qualche modo gli esseri umani dalle loro responsabilità e da eventuali sensi di colpa.

L’intervento del pubblico, sul finire dell’incontro, non è una postilla, ma parte integrante del dibattito stesso: «Non è pericoloso delegare le decisioni a un algoritmo se si applica a sistemi iniqui e dittatoriali?», «Se eliminiamo il rumore non c’è il rischio di ridurre l’empatia?». Se lo scopo della ricerca è migliorare individui e organizzazioni, sostiene Sibony, «bisogna essere certi di non contribuire a rendere più efficienti quei sistemi che operano contro il benessere dell’umanità, come i regimi dittatoriali». E cita Il Mercante di Venezia di Shakespeare: «La potenza terrena si mostra simile a quella di Dio quando la misericordia condisce la giustizia». L’empatia implica il rumore, ma la maggior parte delle persone, pur di non essere giudicata da una macchina, è disposta ad accettare un certo grado di ingiustizia per il privilegio di avere a che fare con un essere umano.

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