Il teatro della vita in negativo
11 9 2021
Il teatro della vita in negativo

Alex Majoli e Michele Smargiassi: raccontare per immagini

Ci sono attimi che cambiano la storia. Momenti catartici che in una frazione di secondi definiscono epoche e tutte le generazioni a venire. Saper cogliere quegli attimi è un dono che in poche persone hanno avuto. Tra queste riconosciamo il fotografo Alex Majoli e il giornalista Michele Smargiassi (Voglio proprio vedere. Interviste impossibili ma non improbabili ai grandi fotografi), che, in occasione del terribile anniversario dell’attentato al World Trade Center, hanno raccontato al pubblico di Festivaletteratura cosa significa vivere quei momenti sulla propria pelle e imprimerli nel rullino.

L’11 settembre ha sancito infatti un momento fondamentale nella storia della fotografia e, più in generale, dei racconti mediatici del reale: per la prima volta tutto il mondo stava a guardare; lo sguardo dello spettatore, sia che si stesse informando tramite la televisione che tramite i giornali, era completamente focalizzato sulle immagini che h24 popolavano il panorama mediatico. La fotografia, strumento del racconto del reale per eccellenza, aveva, in quel momento storico più che mai, il ruolo di informare la cittadinanza circa il modo in cui tali terribili eventi andavano interpretati.

«L’immagine del Falling man è stata scelta bene in una sequenza di immagini. Quella è la migliore perché è composto e rende meglio il momento.» - ha specificato Majoli - «Si apre quindi il discorso dell’obiettività: non è che quel momento non è successo, non è stato photoshoppato, è stato scelto perché è un’immagine potentissima che mi dà una serie infinita di emozioni che le altre non mi danno allo stesso modo».

A fianco quindi della volontà di descrivere il reale tramite la fotografia, con l’11 settembre si inizia a mettere in discussione la possibilità di dare una lettura univoca di ogni foto. Senza didascalia tutto può essere manipolato ed è in quel momento che la fotografia si avvicina di più alla ricostruzione artistica. Lo sa bene Alex Majoli che, dopo anni di lavoro come fotoreporter per l’agenzia Magnum nei luoghi di guerra, ha deciso di cambiare prospettiva e di costruire un nuovo modo di fare fotografia a metà tra il naturale e l’artificiale.

«Dopo tanto tempo, mi sono detto: cosa succede se, elaborando l’idea di Brecht del teatro della vita, io vado in giro e riesco a portare la skenè nella vita vera? Cosa succede se, nel momento in cui scatto, vado e ci metto le luci? Semplicemente io per esempio entravo in un bar e mentre due parlavano io, senza dire niente, iniziavo a posizionare le luci e a scattare. A quel punto un 7% se ne andava, un 8% mi diceva “ma che stai facendo? Che vuoi?” e un 80% restava e iniziava a recitare se stesso per me.».

È così che è nato Opera Aperta, il libro in cui sono raccolti i vari “atti” dove fotografia e teatro si avvicinano, tanto è vero che vediamo in essi la partecipazione di alcuni attori professionisti.

Quale sarà quindi il futuro della fotografia? Cosa ne è stato del ritratto del reale attraverso la fotografia? «Il dialogo potrebbe attrarre molte più persone. Invece di dire “questo è vero mentre questo è falso” si potrebbe dire “parliamone”. Prima il pensiero era “è vero perché l’ha detto la televisione”, ora invece si chiede di pensarci. Spero solo che la gente abbia il tempo per fermarsi a pensare».

Festivaletteratura