Il vortice della diversità nella libera mente
8 9 2023
Il vortice della diversità nella libera mente

Quando la volontà diventa prigioniera del pregiudizio

Quando il diverso fa paura, quando la diversità è vergogna, quando essa spaventa a tal punto da additare, ferire e insultare il proprio figlio o la propria figlia: si intitola Figli, figlie il romanzo della scrittrice serbo-croata Ivana Bodrožić, edito da Sellerio, 2023, per la traduzione di Estera Miočić, presentato in un delicato dialogo tra l'autrice e l'attrice teatrale Lella Costa, dal 1997 a fianco di Festivaletteratura.

«Questo è uno di quei romanzi che ti cambiano la vita, è un atto d'amore, un saggio di vita interiore, avvilimento, amore intenso e difficilissimo, con alle spalle una famiglia che lo contrasta, in ossequio all'educazione di tipo patriarcale.» Ha esordito con questa frase la drammaturga milanese, per introdurre una storia di donne, tre in tutto, di cui una vorrebbe essere altro e non prigioniera di quello che non sente suo. Lucija, la figlia, ha subito un terribile incidente, in seguito al quale è costretta a vivere in un perenne lockdown del corpo, chiusa nella scatola di se stessa. La donna, reclusa nella sua immobilità, subisce i pensieri altrui, le loro piccolezze, le loro volontà, capaci di entrare negli occhi e nelle orecchie, le uniche parti del suo corpo rimaste sensibili. Sono due le figure che transitano intorno a lei: sua madre e Dorian, che quando incontra Lucija si chiama ancora Dora, con il corpo di donna e l'animo di uomo. Dora non ci sta, non vuole vivere nell'infelicità; inizia, così, il processo di transizione, per il quale paga un prezzo altissimo. Ama Lucija ma la madre di lei non vuole proprio accettare questa strana relazione, che considera assolutamente innaturale. L'autrice narra di un grande e difficile sentimento, che subisce la violenza verbale e comportamentale di un genitore che non comprende, a immagine speculare della potenza devastante della violenza familiare e sociale.

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La voce della Costa si è fatta dura quando ha parlato delle brutalità alle quali viene, a volte, sottoposto il desiderio di sentirsi se stessi, si è caricata di emozione quando ha narrato di un amore tanto desiderato, quanto infelice e ha indossato i panni della limpida e veritiera accusatrice, quando ha parlato di patriarcato, perché, in fondo, anche la mamma di questa giovane è vittima di un'educazione maschilista e invasiva. Ivana Bodrožić, da sempre sensibile a tematiche di importanza sociale, ha raccontato la genesi del romanzo, seguendo il filo tracciato dalla chiave di lettura della Costa; è vivo il ricordo di quanto la sua gestazione sia stata lunga e di come abbia avuto bisogno di analizzare svariate prospettive, prima di arrivare al concetto di chiusura. «L'idea iniziale nasce da un fatto casuale, avendo conosciuto una persona costretta all'immobilità; riflettendo, però, mi sono accorta di avere anche io un problema simile, sebbene sia di natura differente. Il fatto di essere chiusi nel fisico è una questione oggettiva, che se analizzata nei suoi più profondi meandri, ha tanto da raccontare. Per esempio, la peggiore delle chiusure che sperimentiamo nella vita è quella nei confronti della famiglia, perché i familiari hanno molte aspettative nei nostri riguardi.» La scrittrice ha ripreso il concetto di patriarcato espresso dall'attrice, affermando che in qualsiasi posto lei sia stata, indipendentemente dalla cultura, dalle tradizioni e dal pensiero, nessuna società patriarcale si è mai presa la responsabilità di difendere le minoranze.«Dal patriarcato non nasce mai nulla di buono.»

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Perché Ivana Bodrožić ha voluto impegnarsi nella stesura di questo libro, sostenendo una causa così delicata? L'autrice è fermamente convinta che la letteratura di qualità debba essere socialmente attenta e trattare tematiche di interesse collettivo. «Può sembrare che questo libro sia a esclusiva difesa delle comunità LGBT, ma in realtà non è solo questo. Personalmente, non so cosa significhi rimanere bloccati a letto e non potersi più muovere, come non so cosa abbia significato vivere negli anni Sessanta. Quello che so è che sono un essere umano con una forte empatia e credo che le persone debbano essere accettate per quelle che sono, che debbano sentirsi libere di esprimere i propri desideri, di scegliere, di vivere. Le argomentazioni che ho trattato sono di carattere universale. Non è difficile capire la realtà del diverso e accettarla.»

Lella Costa ha sottolineato la capacità narrativa della scrittrice croata, di come sia evidente la sua urgenza di raccontare, accompagnando il lettore nella storia, seppure in maniera ruvida e diretta. Nessuno dovrebbe essere costretto a fuggire, a nascondersi, ad abbandonare la propria casa, la propria famiglia per l'orientamento sessuale o perché diventato consapevole di essere nel corpo sbagliato. In molte società, ancora oggi, i transgender subiscono pesanti discriminazioni, che nei casi più gravi, sono causate dalle leggi imposte dallo stato. Secondo la scrittrice, si può uscire da questa drammatica situazione con l'educazione all'accettazione, profilando in maniera obiettiva il concetto di diverso, sin dall'età scolare. Una madre, una figlia e la sua compagna: tre donne che animano un romanzo redatto, come affermato dalla Costa «Con una scrittura bellissima e di straordinaria forza emotiva, alimentata dal senso di assunzione di responsabilità che è tipicamente femminile.»

Festivaletteratura