In un caos di mondi possibili
7 9 2023
In un caos di mondi possibili

Le scoperte del passato per immaginare il mondo del futuro

«Ho conosciuto Miguel di persona cinque minuti fa e in quei cinque minuti ha parlato quattro lingue differenti». Con questo aneddoto Gaia Manzini apre il suo dialogo con Miguel Bonnefoy, sottolineando subito la cifra peculiare dell’autore ospite a Palazzo san Sebastiano oggi. Bonnefoy infatti è nato da padre cileno e madre venezuelana ma ha studiato fra Francia, Venezuela e Portogallo. L’autore scrive dunque in francese, tuttavia il suo spazio letterario oscilla fra i due mondi, attraversa confini, lingue e continenti; se Il meraviglioso viaggio di Octavio (2015) contiene richiami al realismo magico, il suo ultimo libro, L’inventore, al contrario riecheggia l’opera di Balzac e Verne, testimoniando dunque la pluralità di culture presenti nell’universo letterario e biografico dell’autore.

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Figlio di diplomatici, Bonnefoy non nasconde la sua propensione al viaggio, allo spostamento, la sua abitudine al movimento da un luogo all'altro. Nella ricerca di una propria identità questo potrebbe produrre però confusione, caos, spaesamento, una frammentazione e una scissione della propria individualità; tuttavia l’autore coltiva il valore dell’ibridazione, la porosità dell’io. Non esistono infatti identità pure, tutti siamo frutto di contaminazioni e raramente ci troviamo di fronte alla perfezione. Questo, sottolinea l’autore, perché il mondo non è altro che il risultato di secoli di esili, viaggi e spostamenti; la storia dell’umanità è marcata da migrazioni, a partire da Adamo ed Eva, l’umanità non ha mai smesso di muoversi e dunque la natura dell’uomo è, e sarà, per sempre ibrida.

Al di là di tutti gli spostamenti però «la letteratura non è un viaggio, piuttosto un restare». Lo spazio narrativo di Bonnefoy ha come motore l’esplorazione dei conflitti e delle contraddizioni: «ogni volta che c’è una lotta, un combattimento, nasce la possibilità di una narrazione». Anche il protagonista del suo ultimo libro, L’inventore, nasce con queste premesse: seguendo dei documentari sui principali scienziati e inventori che si erano interessati al Sole, l’autore riferisce di essere incappato nella storia curiosa di Augustin Mouchot, personaggio accartocciato su se stesso, afflitto dal proprio stesso talento e da un’esistenza timorosa e cagionevole. Augustin è però anche il primo a ideare un macchinario capace di produrre energia concentrando i raggi solari. Nello stupore generale dell’Esposizione Universale di Parigi del 1878 riuscirà addirittura a produrre un blocco di ghiaccio, concentrando in sé dunque alcune delle contraddizioni primigenie, il caldo con il freddo, la luce con un’esistenza passata nell’ombra.

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Bonnefoy definisce la storia di Augustin come un esempio di ipotiposi: in lui si concentra tutto il potere e il contenuto della narrazione, il precipitato dell’invenzione narrativa. La storia narrata nel libro dunque non è frutto di finzione o immaginazione dell’autore, quanto di invenzione. Inventare infatti non significa costruire qualcosa da zero, quanto cogliere un’idea che sta lì, sospesa, in attesa di essere colta e modellata da qualcuno. «Le grandi idee corrono per strada», commenta l’autore citando Nietzsche, basta che ci sia una mente preparata per accoglierla: ed è quello che è successo anche a Bonnefoy durante la visione dei documentari sul Sole, che fanno emergere dalle pieghe della Storia una figura segnata dal contrasto fra «lo splendore radioso del Sole e la potenza della macchina a vapore», in un’epoca, l’Ottocento, segnata dall’incedere prorompente della Rivoluzione industriale e dall’uso intensivo del carbone.

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Il libro di Bonnefoy, pur esulando dall’essere un saggio o un pamphlet sul tema, pone dunque anche degli interrogativi legati alla coscienza ambientale dei nostri giorni, al dibattito sulla sostenibilità e l’uso di energie rinnovabili. Consultando un fondo archivistico della Biblioteca Nazionale di Francia infatti l’autore riferisce di aver letto riviste dell’epoca dove si parlava degli effetti devastanti per l’ambiente legati all’uso del carbone; «cambiando carbone con petrolio si ottiene lo stesso effetto, è un secolo e mezzo che la scienza lancia moniti, ma qualcuno ha deciso che non dovessero essere ascoltati». Questo, per l’autore, è il frutto della scissione fra scienze politiche e scienze pure applicate, avvenuta a partire dalla Prima guerra mondiale; recuperare il dialogo fra le discipline – ispirandosi anche attraverso storie come quella di Mouchot – è però la chiave per la creazione del mondo di domani, un mondo più sostenibile possibile soltanto attraverso la condivisione del sapere, rimanendo ancorati all’albero maestro della letteratura e delle storie capaci di illuminare il cammino e la riflessione dell’uomo.

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