L'altra storia dell'arte
12 9 2020
L'altra storia dell'arte

Il designer Francesco Faccin porta a Festivaletteratura una carriola piena di narrazioni antropologiche

Nel design, come in ogni disciplina artistica, ci sono due storie che corrono in parallelo. C’è la storia dei grandi nomi, quella illustrata nei manuali, capitolo dopo capitolo; ma c’è anche una storia meno lineare, più frammentata, puntiforme, fatta di numerosissimi grandi ingegni personali che non si lasciano classificare in movimenti e scuole con altrettanta facilità. A questa storia appartengono grandi nomi del passato come Giacomo Balla e Bruno Munari; e a scriverla oggi, fra gli altri, è il designer Francesco Faccin. Che non a caso si presenta con una carriola piena di suoi oggetti. Quale modo migliore di raccontarci questa storia del design folle e sommersa?

Il primo comandamento dell’artista, secondo Faccin, è il divertimento. Lui l’ha capito sin da quando, a diciotto anni, ha iniziato ad assemblare gli oggetti più strani trovati nel corso dei suoi viaggi per vedere cosa poteva venirne fuori. La creazione artistica ha senso solo se ci si libera dalla sete del riconoscimento, dall'«ansia dell'appartenenza» a tutti i costi a qualche movimento o stile specifico: solo ritornando all’individualità dell’artista la creazione viene direttamente dall’istinto. Il fattore istintuale è particolarmente importante nel design, e un aneddoto raccontato da Faccin spiega perfettamente la posizione centrale che gli oggetti e la loro progettazione svolgono nella natura e nell’evoluzione dell’uomo come specie. Tra i numerosi oggetti e modellini da lui portati, spiccano, nella loro semplicità, due ciotoline. Queste non fanno parte delle sue creazioni, ma, ci dice, sono due souvenir: una ciotola di ceramica giapponese, fatta da un artigiano di Kyoto, e una ciotola di legno, comprata in un suq del nord Africa. Due ciotoline identiche al millimetro. Faccin ci racconta, ridendo, di esserne certo perché le ha misurate col calibro, incredulo: secoli di storia materiale di due culture antichissime, ciascuna coi propri mezzi, hanno prodotto la stessa identica forma.

(caricamento...)

L’istinto è stata la guida di Faccin anche nel corso della sua variegata formazione; dopo essere approdato al design a vent’anni, aver compiuto deviazioni verso l’ebanisteria e la liuteria, cambiato spesso mentori e maestri, e viaggiato di continuo ideando progetti in quattro continenti, Faccin riconosce che non conta tanto l’oggetto che si produce, ma la storia che porta ad esso. Così come l’essere umano può essere compreso solo se si considera tutta la sua storia. Dopotutto, il design è solo un pretesto per una ricerca. Ricerca di cosa? Di senso, di narrazioni, di una spiegazione materiale, chiara, visibile e univoca della natura umana. Una ricerca titanica di qualcosa che forse non c’è. Ma che Faccin continua a cercare.

Festivaletteratura