L'economia che uccide
9 9 2016
L'economia che uccide

Dal valore del cibo al cinismo delle leggi di mercato

Se ci chiedessero di controllare con attenzione in ogni angolo della nostra cucina, nei cassetti del frigorifero, in fondo agli scaffali, quante cose dimenticate da tempo troveremmo?
Forse ci stupiremmo della quantità di cibo che con distrazione compriamo ogni giorno e che poi finisce col marcire essendo stato solo assaggiato.
Con questo invito Carlo Petrini, gastronomo e fondatore dell’associazione Slow Food, ha congedato il pubblico al termine del dibattito sul tema "Nutrire il pianeta in un clima che cambia", condotto insieme all'economista Pavan Sukhdev.

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La complessità del tema è stata sviluppata dai relatori partendo dalle contraddizioni del sistema di produzione agricolo: insufficiente remunerazione dei contadini, perdita della biodiversità sia animale che vegetale, impoverimento della fertilità dei terreni, riduzione dell'acqua disponibile per l'agricoltura.

Sukhdev ha ricordato che le preoccupazioni per una corretta economia rivolta a dare cibo a tutti risalgono ad Adam Smith (1723-1790), padre della moderna concezione dell'Economia.
Petrini a sua volta ha sottolineato l'importanza di sostenere la brevità della filiera e con essa le coraggiose startup che permettano a giovani agricoltori di restare o tornare nel proprio territorio per fare imprese da cui ricavare per se stessi e le loro famiglie un dignitoso sostentamento con il lavoro della terra e/o dell'allevamento. Petrini ha inoltre enfatizzato che è di fondamentale importanza comprendere con chiarezza che intorno alla questione agricola si gioca una partita di enorme rilevanza per la sopravvivenza stessa dell'Umanità in termini di ambiente, ecologia, salute, dunque di qualità della vita, nonché della felicità medesima.

Infine i relatori si sono espressi contro lo scenario che verrebbe a crearsi qualora venisse approvato il TTIP. Contro un tale accordo politico hanno invitato i presenti ad un grande impegno culturale a protezione dei "beni relazionali": perché sono proprio i beni relazionali quei "prodotti" che spontaneismo e volontariato dei cittadini possono realizzare a salvaguardia della salute del tessuto sociale.

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