L'intuito non è artificiale
7 9 2023
L'intuito non è artificiale

con Gerd Gigerenzer e Marco Malvaldi

La tecnologia è un settore di ricerca in continua evoluzione, e al giorno d’oggi è possibile rielaborare un alto numero di dati che consentono di ricavare informazioni assai complesse. Questo è il caso, nello specifico, di una moderna forma di tecnologia avanzata, l’ AI (Artificial intelligence o Intelligenza Artificiale), un meccanismo di reti neurali che è stato creato per tentare di eguagliare i processi di pensiero della mente umana.

All’incontro tenutosi a Palazzo San Sebastiano, lo studioso e psicologo tedesco Gerd Gigerenzer, ha ripreso i temi del suo ultimo libro, Perché l’intelligenza umana batte ancora gli algoritmi, e ne ha discusso con il chimico e scrittore Marco Malvaldi, soffermandosi sulle differenze di ragionamento tra le AI e la mente umana. Lo studioso Gigerenzer ha introdotto il discorso ponendo l’attenzione su due fattori: la correlazione e la casualità, che si troverebbero proprio alla base di questa profonda differenza. Difatti, spiega lo psicologo, l’AI calcola molteplici correlazioni basate su una raccolta dati altrettanto grande, mentre la mente umana è consapevole di non riuscire a raccogliere un'uguale moltitudine di informazioni e quindi è in grado di selezionare le giuste informazioni fra quelle già a disposizione. Gigerenzer spiega questa capacità definendola una forma di euristica Intelligente.

Successivamente, Malvaldi utilizza questo concetto per spostare l’argomento sul caso neurologico di Solomon Šereševskij, un giornalista russo dello scorso secolo capace di ricordare ogni avvenimento vissuto nella sua vita. Lo psicologo afferma che la tipologia di mente di quest’uomo era quella che più si avvicinava ad una rete neurale, ma che questo avesse un «prezzo da pagare». Difatti egli non era capace di usufruire di questo tipo di euristica per elaborare le informazioni più importanti o per prestare attenzione per lunghi periodi, perdendo quindi il senso di ciò che ricordava come conseguenza.

I due studiosi hanno posto poi il problema dell'incapacità degli utenti di utilizzare internet in modo consapevole. Lo psicologo concorda in particolare con Malvaldi sul fatto che sia necessario insegnare ai ragazzi, attraverso la scuola, la capacità di ragionare con i numeri e le tecniche di fact checking (controllo della validità dei fatti) e parallel reading (lettura parallela), così che siano capaci di navigare online senza fermarsi al primo link che internet propone, rischiando di essere disinformati o, peggio, lasciar trapelare informazioni personali. A rafforzare la sua affermazione è uno studio dell'università di Stanford, il quale riporta che il 96% dei nativi digitali non riesce a riconoscere una rete neurale da un sito web sicuro, finendo per rischiare che i propri dati personali siano trasmessi alle grandi corporazioni.

Concludendo, secondo i due studiosi occorrerebbe dunque continuare ad imparare a fondo come funziona la tecnologia di cui ogni giorno si usufruisce, in quanto se non si agisce affinché i servizi siano completamente sicuri, si finirà con il diventare complici di un meccanismo che ci sorveglia costantemente, perdendo del tutto il diritto più importante alla propria privacy.

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