L’ultima corsa di Fausto Coppi
5 9 2019
L’ultima corsa di Fausto Coppi

Per un inedito ritratto del «Campionissimo»

Lo sport al Festival vivrà di grandi storie. Alle Lavagne dedicate alla tattica sportiva e alle innovazioni conosciute dalle concezioni di gioco, si aggiungono infatti il ricordo dell'ultimo anno della vita di Fausto Coppi, le quotidiane abitudini dei campioni del tennis, le corse in alta quota, le imprese dei soldati italiani nei campi di prigionia in Sudafrica durante la seconda guerra mondiale e quelle collezionate da un testimone d’eccezione come Alex Zanardi, per dare risalto ai valori dello sport senza eccessi retorici.


«Un uomo solo al comando, la sua maglia è bianco-celeste, il suo nome è Fausto Coppi». È il 10 giugno 1949, si corre la Cuneo-Pinerolo al Giro d’Italia e questa frase celebra una giornata iconica che segna la storia del ciclismo di tutti i tempi. Coppi prende e se ne va per 192 chilometri in solitaria, volando nella Storia.

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Sport e storytelling costituiscono da sempre un binomio inseparabile perché «Lo sport è una metafora della vita, dentro c’è tutto: la vittoria e la sconfitta, la gioia, la speranza, la voglia, la fame, le cadute», ha detto Marco Pastonesi a Blù, il podcast di Festivaletteratura. E il racconto sportivo è al centro del suo ultimo libro (Coppi ultimo, 66thand2nd) che delinea un insolito ritratto del «Campionissimo». «Su Coppi hanno scritto in tanti, da Gianni Brera a Orio Vergani, non ci sarebbe niente da aggiungere. Tutti parlano del Coppi del 1949 o del 1952, del Coppi primo, all’apice». Ma chi era veramente Fausto Coppi? «Un conto è quello che dicono gli storici o i giornalisti, un altro è quello che dicono i gregari, la pancia del gruppo». Pastonesi va dunque controcorrente, «Mi occupo del Coppi ultimo, dell’ultimo anno della sua carriera», afferma, consegnandoci un’immagine inconsueta e fortemente umana di uno dei più importanti campioni della nostra storia sportiva.

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Con in sottofondo le note del «Coppi dell’archetto» Alessandro d’Alessandro, Pastonesi ha pedalato quest’oggi sul palco del Teatro Bibiena lungo la strada dell’ultimo anno di vita del ciclista piemontese, quel 1959 «trascuratissimo, ed invece molto importante». Ripercorrendo le tappe di un uomo giunto allo stremo delle forze, stanco, sfinito eppure ancora fortemente innamorato delle due ruote, incontriamo un Coppi che ha voglia di essere ancora protagonista, che con la sua «silenziosità piemontese» non vuole comunque rinunciare a un ruolo di primo piano. Un 1959 vissuto perciò in modo elettrizzante e frenetico, a un ritmo infernale, diviso fra la vita di corridore e quella di procuratore, fra il tempo speso a lavoro e quello in famiglia, con la voglia di correre ancora un’ultima gara.

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Seguendo il filo di aneddoti, curiosità e testimonianze dei gregari, alternando musica e parole, il ritmo del racconto si fa dunque incalzante. Ma per Coppi c’è ancora il tempo per un’ultima avventura: andare in Africa. Pastonesi lancia da qui la volata che conduce verso il triste epilogo del «Campionissimo», a quel 2 gennaio 1960 dove Coppi si spense, alle ore 8:45, nella stanza numero 4 dell’ospedale di Tortona, colpito da una febbre soffocante. Sono passati dieci anni da quel giugno del 1949, dieci anni racchiusi in uno spettacolo piacevole e coinvolgente che ci consegna un inedito ricordo di «Coppi ultimo», di «Coppi l’italiano».

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Per chi vuole approfondire il percorso, Festivaletteratura propone:

Evento 15 “Il cielo è il limite” - Evento 57 “Passione e morte di Fausto Coppi” - Evento 117 “Mi chiamo Alex Zanardi e sono un pilota” - Evento 121 “Storie della storia del tennis” - Evento 186 “Una gara per restare umani”.

Festivaletteratura