L'uomo è un miracolo che fa paura
10 9 2020
L'uomo è un miracolo che fa paura

La traduzione inedita di Civica dell'Antigone

Massimiliano Civica, regista romano, al Festival avrebbe voluto portarcela in scena, la sua Antigone. È riuscito però a raccontarla, trasportandoci con mano esperta nelle pieghe della lingua greca che più mettono in luce le capacità di descrivere l’umano di quel gran genio che è stato Sofocle.

Civica, vivendo come un gran pregio la possibilità di contatto ravvicinato con uno dei suoi più grandi maestri, si è concesso due anni della sua vita per una nuova traduzione dell’Antigone. Il suo sforzo presenta due novità: la traduzione - pulita, rigorosa, sempre tesa a rendere omaggio alla complessità del pensiero greco - e l’ambientazione - l’indomani della seconda guerra mondiale fa da scenario alla storia.

Tradurre Sofocle per Civica ha significato accettare l’ambiguità dell’essere umano. È frequente che l’Antigone venga letta con sguardo melodrammatico: Creonte ha torto, nel voler imporre la legge della polis, mentre Antigone ha ragione, nel seguire a costo della morte la legge del cuore. I nostri occhi leggono la vicenda in forma melodrammatica poiché il nostro presente privilegia il melodramma, la cui struttura chiave consiste nell'affermare che c’è sempre chi ha torto, ben distinto e incompatibile da colui che ha ragione. Dall’ambito politico soprattutto è possibile evincere come le due istanze vivano oggi in una lotta perenne di inconciliabilità: il politico non può mai ammettere che anche "il nemico" ha le sue ragioni.

La novità della traduzione di Civica risiede nella capacità di mettere in risalto la forza della tragedia, ovvero della complementarietà senza risoluzione degli opposti. Quello che Sofocle fa, ci dice, è mostrare quanto Antigone e Creonte siano simili: entrambi deinos, parola di difficile traduzione che in antica Grecia stava a indicare «una persona competente, abile, che genera meraviglia e al tempo stesso paura». Sofocle vuole sottolineare quanto sia Antigone sia Creonte siano deinos, ovvero due esseri entrambi protesi nel voler superare la natura, due caratteri così ambiziosi e fermi nelle sua posizioni per i quali non può esistere dialogo. Due miracoli, in quanto due rappresentanti dell’essere umano nella sua forza più piena ma anche due esseri che generano paura, poiché non conoscono l’arte della mediazione. Una delle novità della traduzione di Civica è tradurre «l’uomo è deinos» di Sofocle non come «l’uomo è una meraviglia» usuale nelle traduzioni precedenti ma come «l’uomo è una meraviglia che fa paura». L’ambiguità umana infatti fa sì che, tutto ciò che è stra-ordinario, sopra le righe e quindi foriero di una nuova concezione dello status quo, costituisca al tempo stesso l’apice della meraviglia e un possibile innesco della disgrazia.

È così che, dopo essersi susseguita in scambi di battute, la tragedia si conclude in un «ai, ai, ai» da parte del coro. La parola divide, la parola scava un mare nella differenza delle opinioni umane. Il lamento appiana qualsiasi costruzione di senso, riconducendoci al grido inarticolato che sorge dall’impossibilità di differenziare fra individuo e polis, torto e ragione, normalità e follia.

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