La città ideale
10 9 2020
La città ideale

Un’ opportunità per essere e pensarci insieme

Lieve ritardo. L’attesa incrementa l’aspettativa, ma stimola anche la disposizione all’ascolto, lo scambio di sguardi, i saluti da lontano. Siamo in piazza, insieme, e ci sentiamo parte di una collettività. Ecco uno dei temi fondamentali che attraversa tutto l’incontro, il cui asse portante potrebbe essere sintetizzato con questa domanda: l’attuale emergenza sanitaria può aiutare ad abbattere le mura dell’individualismo?

Ad aprire l’evento la storica e giornalista Paola Caridi con la lettura di un poema che Mariangela Gualtieri scrisse durante il lockdown, Nove Marzo Duemilaventi, che tratta un altro tema della conversazione: il furore. Furore che, spiega il sociologo Giuseppe de Rita, nacque nell’Italia del 1945 e che fu allora un elemento di grande vitalità, poiché spinse l’insieme della società a combattere. Siamo oggi davanti a qualcosa di simile?

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È chiaro che la pandemia ha messo tutti noi davanti a tante incertezze, ma lo stare a casa ha portato a prendere più a cuore i sentimenti degli altri e le città vuote hanno ricordato a tutti quanto importante sia abitare lo spazio pubblico, sentirsi parte di un tessuto sociale, organico, che nasce di una profonda coesione interna, senza cui la politica e l’economia mancano di senso. Purtroppo, la privatizzazione che ha dato potere alle grandi imprese private durante gli anni Sessanta ha rotto il necessario consenso sociale. Ma il Covid-19 ha mostrato quanto importante sia restituire questo consenso.

A sua volta il cardinale Matteo Maria Zuppi, arcivescovo di Bologna, ha segnalato nel suo ultimo libro Odierai il prossimo tuo come te stesso il pericolo dell’individualismo e della ricerca di un benessere che non si basa sulla ricerca del benessere dell’altro. L’individualismo che si identifica con il possesso ci fa credere autosufficienti e ci impossibilita a pensarci insieme, a essere un “noi”. La pandemia ci ha condotti a fare i conti con noi stessi, ad accorgerci che non ci concedevamo il tempo per fermarci e ascoltarci. Ha permesso di pensare diversamente a noi, non come individui ma come insieme, come una rete di relazioni e di incontri. Da questo punto di vista possiamo vedere l’emergenza sanitaria come un'opportunità che ha contribuito ad accelerare o liberare un processo necessario che stava già accadendo, era già in essere.

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