La climatologa Elisa Palazzi tra negazionisti e climate anxiety
9 9 2020
La climatologa Elisa Palazzi tra negazionisti e climate anxiety

Come fare e non fare informazione

Perché è così difficile fare divulgazione scientifica con la climatologia? Con questa domanda si apre la chiacchierata a tre voci con Niccolò Porcelluzzi, Matteo de Giuli e Elisa Palazzi, ricercatrice dell'Istituto di Scienze dell'Atmosfera e del Clima (ISAC) del CNR e docente di Fisica del Clima all'Università di Torino.

«La divulgazione scientifica è strana perché la climatologia è strana» spiega subito la dott.ssa Palazzi. Secondo il metodo scientifico, infatti, ogni esperimento deve essere riproducibile, ripetibile e falsificabile. Cosa che manca completamente nel caso della climatologia: dal momento che il laboratorio su cui vengono osservati i fenomeni è la Terra, servirebbero diverse centinaia di Terre per fare dei veri esperimenti, così come intesi dal metodo galileiano.

Questa specifica non rende la climatologia una scienza meno “nobile”, al contrario; le giornate del ricercatore si alternano tra studi di modelli climatici e osservazioni fatte sul campo, che portano insieme all’elaborazione di ipotesi sul clima nate dall’ unione dell’elemento umano e di quello virtuale. La scienziata Palazzi è specializzata nello studio dell’ambiente montano, uno dei microclimi che subisce più di tutti il cambiamento climatico.

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Nonostante si parli sempre più di global warming, cresce in Italia e nel mondo il numero di negazionisti; come specifica però l’esperta, «non viene più messo in discussione il cambiamento della temperatura globale: i negazionisti ormai negano solo la componente antropica». Vista la sua posizione privilegiata, la dott.ssa Palazzi conosce a fondo il movimento negazionista, una vera e propria corrente che si muove a ondate e che sfrutta gli episodi di maltempo come prova: com’è possibile che la temperatura globale stia salendo, se c’è freddo e neve?

L’unico rimedio ai negazionisti è semplice quanto efficace: dati. Tanti, revisionati e approvati dalla comunità scientifica e divulgati al grande pubblico.

Revisione e approvazione sono però procedimenti lenti, di solito svolti all’interno di eco-chamber scientifiche sconosciute all’opinione pubblica; solo quando le teorie sono approvate, fuoriescono dal mondo tecnico e vengono pubblicate su riviste scientifiche per essere fruibili e consultabili anche dai non esperti. Questo procedimento è stato completamente stravolto con l’arrivo del Covid-19: «si sono presi per buoni dei position paper non revisionati dalla comunità scientifica», spiega la scienziata. Non solo: la revisione e il commento sono stati fatti nei salotti delle tv e non nei centri di ricerca. È il motivo per cui per lungo tempo è circolata la notizia che il particolato atmosferico è l’”autostrada del contagio”, o che il pangolino è l’animale responsabile della pandemia. Se è importante comunicare, lo è altrettanto vedere anche da chi proviene l’informazione, perché nonostante la fretta che il corona virus porta, «la scienza ha i suoi tempi e devono essere rispettati».

Dalla volontà di una buona comunicazione scientifica della Palazzi nasce Perché la terra ha la febbre? E tante altre domande sul clima, libro a quattro mani con Federico Taddia in forma dialogata, in cui spiega ai bambini come e perché sta aumentando la temperatura globale complessiva. Il libro verrà presentato a Festivaletteratura l’11 Settembre nella Casa del Mantegna.

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La regola d’oro usata dalla ricercatrice è stata quella di non dire tutto, lasciare qualcosa in sospeso. Per due motivi: sia perché la sovrabbondanza di dati invece di fare chiarezza crea confusione; sia per lasciare lo spazio all’approfondimento, che può nascere solo se si instilla curiosità alla persona. La seconda regola che la Palazzi si è imposta è stata la cura delle parole: «ho imparato a fare lo sforzo di scegliere le parole da usare: mi sono sforzata a fare tanti esempi, ad usare tanti immagini» in modo da aiutare il bambino a visualizzare realtà complesse e macroscopiche quali il cambiamento dell’intero pianeta.

In chiusura si è tornati sull'importanza delle immagini, soprattutto per combattere la climate anxiety: l’orso polare scheletrico senza più ghiacci fa tristezza ma ormai non fa più presa.

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Molto meglio rappresentare la realtà dei fatti gettando anche un occhio ai progressi fatti in positivo, perchè anche se pochi ci sono: l’esempio portato avanti è stato quello della riduzione delle emissioni di anidride carbonica a causa del lockdown e i benefici che sono seguiti. La diminuzione della CO2 è stata la riprova che è possibile rallentare e puntare agli obiettivi per il 2030. Sicuramente non passando da un lockdown all'altro, ma attuando l’unico rimedio possibile: fidarsi della scienza.

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