La lingua è una mano tesa
8 9 2023
La lingua è una mano tesa

Vera Gheno in dialogo con le ragazze e i ragazzi di Blurandevù per discutere della lingua che c’è e della lingua che potrebbe esserci

Alcune rassegne fungono da colonne portanti di Festivaletteratura, strutturano l’idea di questo festival nel nostro immaginario. Tra queste, c’è sicuramente Blurandevù: un gruppo di giovanissimi che, assieme, discutono, preparano domande e conducono interviste agli ospiti del festival. E questo incontro, tra i tanti della rassegna, sembra da subito particolarmente indovinato: sia perché l’attenzione alle parole dei ragazzi di Blurandevù è chiara fin dal loro video di introduzione, in cui presentano Blurandevù come un lemma di un dizionario, ma anche perché Vera Gheno è perfettamente a suo agio tra gli adolescenti – basta seguirla sui social per rendersi conto che la sua abilità con la parola emerge pienamente quando si tratta di doversi modulare, di «costruire un terreno in comune», come ci dice in risposta alla domanda di apertura, sul contesto e sulla necessità di essere se stessi e di dover allo stesso tempo cambiare tono di voce. E poi, diciamocelo: a prescindere dalle sue abilità comunicative, si vede proprio che a parlare coi ragazzi Vera Gheno si diverte moltissimo.

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Tra i divertentissimi video preparati dai ragazzi di Blurandevù e le sfide, come quella di spiegare cos’è la schwa in due minuti, l’incontro inizia fin da subito a essere caratterizzato da una dimensione intima, in cui i problemi relativi alla lingua diventano un'ulteriore faccia di cosa significa essere adolescenti: voler far bene e a volte non riuscire. Gheno parla infatti della difficoltà di raggiungere l’equilibrio tra modularsi sul proprio interlocutore e evitare allo stesso tempo di snaturarsi, di doversi censurare; parla dell’inevitabilità di commettere errori, di dire la cosa sbagliata al momento sbagliato. E, accogliendo con delicatezza e grazia la domanda sulla vergogna di sbagliare, ci rassicura: anche chiedere scusa è un’abilità linguistica che si impara, e saperlo far bene ci libera dal peso della vergogna. La parola “scusa” è un po’ come la parola “grazie”: andrebbero imparate in più lingue possibili, perché sono fondamentali.

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Dalla vergogna alla paura del silenzio, dalla schwa all’odonomastica: i ragazzi di Blurandevù sanno guardarsi dentro ma anche intorno, e maneggiano senza paura concetti come quello di “spazio pubblico”, realizzando che le donne sono pressoché assenti dai nomi delle vie di Mantova. Ma anche qui, Vera Gheno ci tranquillizza: nulla è inciso nella pietra, non c’è un unico ordine possibile delle cose. Iniziare a riconoscere la presenza di ciò che è altro intorno a noi è capace di «aprirci la testa», dice lei, cambiare il modo in cui pensiamo. Il che significa, cambiare il modo in cui parliamo. Il che significa… Cambiare anche ciò che ci circonda, auspicabilmente!


Qui la video-intervista realizzata daə volontariə di Blurandevù a proposito della schwa:

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