La lingua si traduce in identità
9 9 2022
La lingua si traduce in identità

Di migrazioni e parole con Usama Al Shahmani e Nadeesha Uyangoda

La potenza della lingua, in tutti i suoi aspetti e forme, è stata ciò che i due autori con un’incredibile forza espressiva hanno trasmesso durante l’evento. Proprio quando mancano le parole si è spinti ad analizzare la lingua e ad andare oltre la sua concezione classica, a capire come su questa si regga il mondo e la nostra stessa identità.

Per Usama Al Shahmani, la funzione principale di una lingua è permettere di comunicare ad altri un pensiero, una specifica concezione della realtà. Così risponde alla prima domanda della giornalista Nadeesha Uyangoda, che lo accompagna nel dialogo, sulla scelta del tedesco per scrivere i suoi testi In terra straniera gli alberi parlano arabo e La piuma cadendo impara a volare. La scelta della lingua d’esilio è necessaria per rivolgersi ad un pubblico germanofono e per cogliere nella scrittura lo spirito tedesco. Per trasmettere in sostanza concetti che solo attraverso le peculiarità della lingua tedesca potrebbero essere veramente comunicati, con uno stile di scrittura ed espressione completamente diverso da quello arabo.

L’effetto dell’allontanamento dalla lingua madre è la creazione di uno spazio tra l’autore e le vicende che racconta, tra la guerra, le devastazioni, la dittatura Saddam Hussein in Iraq. Una nuova dimensione libera di essere riempita attraverso la scrittura e che lascia spazio per essere guardata con occhi diversi da quelli d’origine. Parlando del suo rapporto con il pubblico italiano, Al Shahmani arriva a ribaltare una comune concezione di traduzione come filtro che crea distanza tra la lingua d’origine e quella di traduzione. «La traduzione non è un filtro, è un ponte», afferma, utilizza il verbo tedesco "übertragen" col significato di trasmettere cultura da un pubblico ad un altro. Il traduttore fa notare come in tedesco "übersetzen" non significhi solo tradurre, ma anche traghettare: un esempio perfetto di come solo alcune parole possano trasmettere lo spirito di determinati concetti.

Una domanda sui suoi romanzi si trasforma poi in una confessione al pubblico. Lo stesso autore non è ancora riuscito a trovare la sua lingua, che trascende dall’utilizzo della lingua madre o di una straniera, ma nella ricerca delle proprie parole per esprimere una storia personale. Nonostante si presentino in modo molto diverso, in entrambi i romanzi è presente la storia e l’insieme delle conoscenze dell’autore. Nel libro In terra straniera gli alberi parlano arabo il personaggio di Osama è fortemente autobiografico, ma non è l’autore, entrambi sono molto di più rispetto all’altro e trasmettono la stessa storia in modi diversi. Aida e la sorella in La piuma cadendo impara a volare si allontanano dalla prospettiva dell’autore, che ne adotta una femminile, ma ne condividono le esperienze e la lingua. Come sostiene Al Shahmani, tutte le conoscenze nel momento della scrittura si concentrano in una sola botte e vengono impiegate in contemporanea nella continua ricerca di una propria identità linguistica. Una ricerca che accomuna ogni essere umano, ma che nei personaggi dell’autore si traduce in una mancanza della lingua stessa, nell’impossibilità di comunicare. La difficoltà del migrante diviso tra due culture, che nella ricerca della sua identità e nel suo tentativo di esprimerla deve ripartire da zero.

Esiste un legame indissolubile tra lingua e identità che l’autore rende chiaro nel suo primo libro. Come la lingua, anche l’identità è molteplice e in continuo cambiamento. La lingua è identità di un popolo (o di un gruppo che la utilizzano) e ne condiziona il pensiero. Una ricerca, quella linguistica e identitaria, tipica delle persone costrette a fuggire dalla loro casa e a lasciarsi tutto alle spalle, ma che caratterizza l’intera società. Proprio come nella conoscenza delle lingue, tra queste diverse identità non c’è chi vince o chi perde, chi viene dimenticato e chi lasciato andare, ma una coesistenza che la rafforza.

L’ultima domanda dal pubblico si concentra sull’utilizzo del termine esilio e del rapporto dello stesso con la scrittura. «La scrittura non cura mai le ferite, al massimo le porta alla luce»: la ricerca di un proprio modo di comunicare porta nel migrante alla dura consapevolezza che un ritorno in patria non esiste, ma che questa si conserva nella lingua. Citando la lettera di Thomas Mann sulle motivazioni del suo mancato rientro in Germania alla fine della guerra, è chiaro come la partenza è costrizione e il ritorno pura illusione. La riflessione si conclude in analogia, il suono delle parole è un’armonia che assomiglia al battito di un cuore. Al Shahmani non esita ad affermare che il suo cuore batte in arabo e che «se batte in arabo, allora fa molto rumore».

Festivaletteratura