La maternità negata
8 9 2016
La maternità negata

Linda Lê e Flavia Piccinni con Marco Filoni

Tema complesso e scomodo quello presentato da Linda Lê e Flavia Piccinni. Uno di quelli in cui le convinzioni personali più intime si incontrano, e si scontrano, con quelle generali proprie della nostra società e forse dell’intero genere umano. In Lettera a un figlio che non avrò di Linda Lê, la protagonista decide di non diventare madre. Un decisione personale maturata contro quella che l’autrice definisce una forma di tirannia, la maternità cioè come un passaggio dovuto, un gesto obbligato nella vita delle donne. «La maternità è la condizione di completezza della donna» obietta il compagno della protagonista per esprimere che la donna deve avere figli: garantire la vita è legge di natura. Per Linda Lê invece, la scelta opposta, quella della “sterilità”, è il modo con cui la protagonista sovverte lo stato delle cose e sceglie di non procreare come affermazione di una libertà personale.

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Secondo Flavia Piccinni invece, scegliere di non diventare madre è una decisione di solitudine, di assenza, di dolore e di vergogna. La donna non ha strumenti personali e sociali per prepararsi alle conseguenze della sua scelta. «Nessuno mi aveva spiegato quanto avrei sofferto» dice Lea, la protagonista del libro di Piccinni, Quel fiume è la notte. La protagonista sceglie di abortire senza avere la comprensione né della madre, che la divora con le sue aspettative, né della società che fa maturare in lei un senso di colpa. «Tu che scegli di non aver figli sei egoista» dice a Lea il mondo che la circonda. Quindi il vero problema, sostiene Piccinni, è che la società non riconosce alla donna la libertà in tema di maternità.

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La scelta è fonte di tormento ed il libero arbitrio è ancora tabù. È vero che i ragazzi delle nuove generazioni diventano genitori in tempi diversi rispetto al passato, ma ciò viene socialmente ancora percepito come un'anomalia. Il mutamento cioè viene subito, tollerato ma non ancora accettato fino alle sue intime e più profonde conseguenze. È cambiata la maternità dunque, ma non la sua percezione sociale. Sulla libera scelta di procreare si può solo sospendere il giudizio e continuare ad indagare su questi territori misteriosi del nostro animo su cui regnano ancora il dolore personale e la riprovazione sociale.

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