La musica e il ritmo umano delle stagioni
7 9 2023
La musica e il ritmo umano delle stagioni

Un viaggio musicale nella storia e nello spirito della Russia dell'Ottocento

Il suggestivo ambiente del teatro Bibiena ha fatto da sfondo a una straordinaria operazione culturale messa in campo dallo storico e attore bolognese Alessandro Vanoli e dal violino, violoncello e pianoforte del Trio Icarus Ensemble: la rievocazione delicata di una mentalità, di uno spirito, di una sensibilità del passato attraverso la musica. Le stagioni di Pëtr Il'ič Čajkovskij sono il punto di partenza per un lungo viaggio nella cultura e nel folklore russi del passato, dove il tempo e il succedersi delle stagioni avevano un valore anche molto diverso rispetto a quello di oggi. Un’epoca, il secondo Ottocento, in cui in tutta Europa nascevano e si diffondevano i nazionalismi, che trovavano risonanza anche nella musica. Ecco allora che la stagione diventa un’occasione di narrare lo spirito russo, di legare l’arte al carattere di un popolo, alle sue abitudini e tradizioni, alla sua storia; e questo pur nel cosmopolita e filoeuropeo Čajkovskij, meno incline di altri compositori a dedicare la propria musica alla patria. Spinto dalla necessità di denaro e dai solleciti dell’editore, compone originariamente Le stagioni per solo pianoforte, a puntate: una per ogni mese dell’anno, da gennaio a dicembre. Ad ogni mese, per aiutare a descriverne lo spirito, è premessa una poesia di autori all’epoca famosi, tra i quali Puškin, padre del romanticismo russo, si erge indiscusso protagonista.

Vanoli, con la sua magistrale abilità, guida gli spettatori all’ascolto attraverso tutti i mesi dell’anno, divisi in quattro triadi, seguendo uno dei motivi principali non solo dell’opera di Čajkovskij, ma anche della mentalità antica riguardo al succedersi del tempo: la luce. È il suo venir meno nel corso dell’inverno, molto più che l’irrigidirsi delle temperature, a toccare la sensibilità del popolo russo, a generare sentimenti di malinconia e dispiacere. Il freddo, anzi, lontano da ogni associazione contemporanea alla morte, poteva essere percepito come un momento di esaltazione dei sensi, di travolgente vitalità. Come scrive proprio Puškin: «Gelo e sole; giornata mirabile! / E tu sonnecchi, o mia adorabile / - su, bella, di svegliarsi è ora: / dischiudi gli occhi di piacere, / stella del nord fatti vedere / incontro alla nordica aurora!». E non bisogna dimenticare che fu proprio il gelo invernale a salvare la Russia dalle armate di Napoleone nel 1812, come ci raccontano sia Tolstoj che, in musica, lo stesso Čajkovskij: ecco allora che il freddo è uno scudo, un elemento di sicurezza nel sentire nazionale del popolo russo.

Gennaio sarà quindi il mese dedicato al piacere del focolare domestico; febbraio all’allegria della festa del carnevale; marzo alla gioia per l’incipiente primavera, quando il buio si dissipa e la natura rinasce. Il fiore di bucaneve, candido e leggero, ispira aprile; le notti bianche di dostoevskijana memoria maggio; mentre giugno, il più famoso dei dodici brani, è una barcarola, la musica dei barcaioli che viaggiano sulle acque ormai tiepide. L’estate di un tempo era qualcosa di molto lontano dal periodo di riposo e calma a cui la nostra cultura contemporanea di vacanzieri ci ha abituati. Luglio è il mese della mietitura: la musica mira proprio a rievocare i colpi di falce del contadino, che lavora affaticato e sudato nel campo. Ad agosto c’è la fienagione, e settembre, che era percepito già nell’antica Grecia come parte integrante dell’estate, è dedicato alla caccia. Ad ottobre fa infine capolino il buio, ed è allora che la melodia si fa più malinconica, sommessa. Ma l’allegria non tarda a ritornare: novembre è un brano gioioso, che descrive i viaggi sulla troika, la tradizionale slitta russa, con cui i soldati degli zar riuscirono a spingersi a conquistare la Siberia; infine, dicembre è un valzer incentrato sulla festività del Natale.

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