La poesia al Festival
12 9 2015
La poesia al Festival

"Tu puoi soddisfare la parola inesprimibile!"

Oltre il rombo della lingua, la poesia

Come si traduce la poesia? Antonio Prete, poeta e traduttore di Charles Baudelaire, e Fabio Pusterla, traduttore di Philippe Jaccottet e poeta a sua volta, raccontano quello che hanno compreso in tanti anni di esperienza.

Antonio Prete è risoluto: tradurre poesia è di per sé fare poesia. Richiede tempo, pazienza e dedizione. Bisogna calarsi nel testo e frequentarlo fino a sentirlo amico, parte della famiglia. Tradurre poesia vuol dire essere pronti all’ospitalità e all’ascolto della voce poetica, voce che travalica la barriera della lingua. Deve essere un poeta a tradurre poesia ㅡ è il caso di dirlo ㅡ non c’è verso. Il poeta attinge a una dimensione che va oltre il rombo della lingua, qualcosa che ha che fare con il corpo, perfino col silenzio. E non esistono teorie possibili: la traduzione si apprende attraverso la pratica.

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Per molto tempo si è fatto l’errore di credere che la traduzione fosse una disciplina della linguistica piuttosto che dell’estetica: questo è il parere di Fabio Pusterla. La traduzione è un atto creativo, è scrittura: ci insegna che la nostra lingua d’appartenenza non è la sola zona abitabile al mondo, ci costringe a mettere in discussione l’ordine delle parole, delle cose, ci fa ragionare sulla scrittura, ci insegna cose che non sapevamo.

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Qualche esempio pratico. Prete racconta delle scelte che ha fatto nel tradurre Baudelaire: salvare la rima, l’impalcatura classica e legge la sua traduzione di A una passante, la confronta con quella di Bufalino.

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Pusterla racconta la difficoltà incontrata nella traduzione di una citazione di Musil utilizzata da Jaccottet nelle Austriche: che fare se il francese 'chat-huan', metà gufo, metà gatto, in italiano diventa 'barbagianni'? Pusterla risolve col pipistrello, metà topo, metà uccello. Il pubblico con un applauso decreta che può andare.

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L’incontro si conclude, la voglia di parlare di traduzioni no. Il traduttore ha sempre voglia di ritornare sul testo, è una scrittura aperta, che non si congela. Dal pubblico arriva una provocazione: nel lavoro del traduttore c’è della vanità? Antonio Prete sorride e risponde: “vanitas”.

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Un paese alle mie spalle. Un commovente reading da Un mondo diviso di Moniza Alvi

Moniza Alvi è nata nel 1954 a Lahore da padre pachistano e madre inglese, ma ha vissuto tutta la vita in Inghilterra. Questa doppia appartenenza, il sentirsi “mezza e mezza” è uno degli elementi centrali della sua poesia, che le permette di osservare la realtà circostante con uno sguardo allo stesso tempo interno ed esterno.

da I Would Like To Be A Dot In A Painting By Miro
"But it's fine where I am.
I'll never make out what's going on
around me, and that's the joy of it.
The fact that I'm not a perfect circle
makes me more interesting in this world."

La sua poesia abbraccia molte tematiche, che Paola Splendore, la traduttrice di Moniza Alvi, ha cercato di includere nella sua raccolta: la sua storia personale e quella della sua famiglia, i traumi antichi e moderni, il rapporto con la terra natale. Un paese a cui sente di appartenere, mitico e fiabesco, costruito durante l'adolescenza a misura dei propri sogni come perfetta contrapposizione alla noiosa campagna inglese.

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Estremamente attuali, vista la ricorrenza di oggi, sono alcuni poemi brevi legati al tema del conflitto e nati in risposta agli avvenimenti dell'11 settembre.

How The World Split in Two
"Was it widthways or lengthways,
a quarrel with the equator?
Did the rawness of the inside sparkle?
Only this is true:
there was an arm on one side
and a hand on the other,
a thought on one side
and a hush on the other.
And a luminous tear
carried on the back of a beetle
went backwards and forwards
from one side to the other."

Il pubblico è rimasto particolarmente colpito dalla lettura di un breve brano tratto dall'ultimo lavoro di Moniza, At the Time of Partition (ancora inedito in Italia), che partendo dalla storia dell'attraversamento del confine India-Pakistan compiuto da sua nonna con i figli nel 1947, riesce a raccontare il dramma dei migranti e dei campi di raccolta.


E ci è cara la voce umana. Come è puro tutto questo, come è gentile, così tra sconosciuti

La mente, visti i limiti della vita, si stupisce della mia costanza da innamorato.” Aldo Capitini, figlio di un modesto impiegato comunale e di una sarta, nasce nel 1899 a Perugia, e nella stessa città sarebbe morto nel 1968. Aldo Capitini è stato un poeta, un religioso, un pedagogo, un attivista non violento, e anche un politico antifascista, seppur non avesse mai militato all’interno di un partito.

All’interno della cornice della Sagrestia di San Barnaba, la figura di quest’uomo eclettico viene riportata alla luce dai professori Piergiorgio Giacchè e Giancarlo Gaeta e dal moderatore Daniele Piccini, che ci ricordano come la portata rivoluzionaria della parole di quest’autore sia stata sostanzialmente dimenticata in epoca contemporanea.

Piergiorgio Giacché racconta di aver avuto sedici anni quando fece il primo sconvolgente incontro con Aldo Capitini: durante un’infiammata riunione studentesca pre-sessantottina la contestazione raggiunse il proprio apice con un’accusa dello stesso Capitini all’allora Rettore dell’Università di Perugia, simbolo ed emblema di una classe dirigente da contrastare.

Giancarlo Gaeta, apporta nuovi stimoli sviluppando una riflessione sul rapporto tra la forma della vita dell’autore e la forma del suo pensiero: in Capitini, afferma, non si avverte uno scollamento ma un’estrema coerenza, ed è proprio questo il tratto riconoscitivo dei grandi.

L’energia della poetica di Capitini è protesa verso la purificazione della parola, semplice, modesta ed immediata come un “tu” e nasce dal convincimento che l’apertura agli altri coincida con la vicinanza a Dio.


Per maggiori approfondimenti si legga l’autobiografia “Attraverso due terzi di secolo”: http://www.citinv.it/associazioni/ANAAC/notizie/base3.htm


La mia nascita è quando dico un tu. Lo credevano un ingenuo e invece era solo un uomo semplice

Nella suggestiva cornice della Chiesa di Santa Paola, l’antropologo Piergiorgio Giacchè ha recitato un elogio dedicato alla figura istrionica di Aldo Capitini. Poeta, politico e profeta.

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L'oro della poesia bambina

La poetessa umbra Anna Maria Farabbi ha raccontato al pubblico, raccolto nella Sagrestia di San Barnaba, la propria esperienza poetica e individua tre punti luce: il vuoto concavo, ovvero la coscienza di un’immancabile distacco tra sé e ogni altro essere vivente; la consapevolezza della differenza tra la "curvilinea corporea" femminile e la "verticalità" maschile e l'importanza essenziale del rapporto con gli infermi.

Antonio Prete, scrittore e critico letterario, è intervenuto sviluppando diverse riflessioni sul senso del fare poetico e dell’inscindibile rapporto con lo sguardo del fanciullo.

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Donne-poeta lungo i secoli tra Italia e Armenia

"Io ti domando, fissando il tuo corpo d’erba, sei stata felice?". Con questa domanda di Antonia Arslan è iniziato l’evento Donne-poeta lungo i secoli tra Italia e Armenia sponsorizzato dall’associazione veneta Talenti di Donna, presso il Teatro Bibiena.

In occasione del centesimo anniversario del genocidio del popolo armeno, questo spettacolo poetico ha voluto rappresentare la 'galassia sommersa' di autorevoli ma dimenticate voci femminili che condividono la matrice culturale e la volontà di uscire dalla stanza tutta per sé tratteggiata da Virginia Woolf.

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Diverse le personalità che si sono succedute sul palcoscenico: la sopracitata Antonia Arslan, autrice del bestseller mondiale La masseria delle Allodole, ha ricostruito la storia dell’antico legame tra la Serenissima Repubblica di Venezia e il popolo armeno; la studiosa Milena Bernardelli ha sottolineato come la consapevolezza dell’alterità femminile sia stato un atto rivoluzionario sbocciato in epoca rinascimentale; Nicoletta Maragno, attrice diplomata alla Scuola del Piccolo Teatro di Giorgio Strehler, si è esibita in toccanti recitazioni poetiche dando prova di doti canore fuori dal comune.

Le indiscusse protagoniste dell’evento, però, sono loro: le italiane Veronica Gambara (Brescia 1485), Gaspara Stampa (Padova 1523), Veronica Franco (Venezia 1546), Moderata Fonte (Venezia 1555), Angela Veronese (Treviso 1778), Vittoria Aganoor (Padova 1855) e le armene Rosa Hovhannisyan (1961), Sona Antonyan (1967), Marine Petrossian (1970).

Condite il tutto con l’esibizione di tre eteree danzatrici che, con movimenti sinuosi ed espressioni melanconiche, hanno dipinto la realtà di donne-poeta tra nuvole, corvi e dimenticanze.

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