La radicalità salverà il mondo
9 9 2022
La radicalità salverà il mondo

Ferdinando Cotugno e Fabio Deotto sul mondo che verrà... e che è già qui

Ferdinando Cotugno e Fabio Deotto cambiano subito la percezione del titolo dell'evento, "Raccontare il cambiamento climatico". Quello che vogliono trasmettere non è come raccontare al meglio la crisi climatica, ma soprattutto il ruolo che rivestono le persone: “Ma io, come singola persona, cosa posso fare davanti a tutto questo?”. Per rendere giustizia alla complessità della domanda, la ricerca di una risposta è il filo conduttore di tutto l’incontro.

Cotugno sostiene che queste due estati siano state quelle che ci hanno fatto aprire gli occhi, ma su qualcosa che era già morto. Il ghiacciaio della Marmolada aveva già cessato di esistere molto tempo prima che lo vedessimo cadere, un mero ricordo di un altro mondo dove i ghiacciai non si sciolgono.

Simbolo del mondo che racconta Deotto nel suo libro L'altro mondo. La vita in un pianeta che cambia, quello che fatichiamo a concepire come il nostro pianeta attuale, è soprattutto il Pakistan, ancora vivo al contrario della Marmolada. I soldi che dovrà spendere per ricostruire quello che è sopravvissuto al disastro naturale erano soldi destinati a sostenere economicamente il Paese, che ora chiede risarcimenti ai Paesi più inquinanti del mondo. Il caso del Pakistan è emblematico della profonda ingiustizia legata ai cambiamenti climatici: le sue emissioni a livello globale corrispondono solo allo 0,4% ma è coinvolto nelle conseguenze più traumatiche della crisi.

Fatichiamo comunque in tutto questo a cogliere i collegamenti con la nostra realtà. Deotto sostiene che la mente possa comprendere una questione solo quando crea un quadro nel quale inserirla, collegando tra loro informazioni ed eventi. Questa capacità era necessaria ai nostri antenati per orientarsi nel mondo con molti meno punti di riferimento rispetto a quelli che possediamo noi oggi. Se una visione complessiva manca, la tendenza è quella di risolvere i problemi singolarmente, così come sta avvenendo per il cambiamento climatico. Oggi la questione migratoria diventa più complessa per l’arrivo di persone in fuga dal Pakistan, ma noi non riusciamo a ricondurre la causa ai disastri climatici.

La tendenza è ben visibile per Cotugno nella nostra politica, chiusa in una bolla in preparazione del voto del 25 Settembre. Il problema delle riparazioni ai Paesi più colpiti non viene nemmeno presa in considerazione, così come la dimensione globale del fenomeno, nella ferma convinzione di poter affrontare singolarmente e risolvere la “crisi climatica italiana” senza guardare al resto. La transizione energetica come viene pensata ora non è altro che un modo per proteggere lo status quo e impedire il cambiamento. Nel suo libro Deotto indaga i paradigmi cognitivi che ci impediscono di accettare un mondo che cambia davanti ai nostri occhi e che inducono a percepire ogni cambiamento come negativo. È molto più facile immaginare la transizione come “un bagno di sangue” piuttosto che come un miglioramento della società. Come spiega Cotugno, la crisi climatica viene spesso percepita come una serie di deadline, di punti di non ritorno, mentre manca il tentativo di immaginare il mondo nel 2031 o nel 2051, manca l’immaginazione politica.

Nel 2018 il risveglio collettivo dei movimenti per il clima, da Fridays For Future ad Extintion Rebellion e il Sunrise Movement negli Stati Uniti, che finalmente danno voce ad una Terra orfana della politica e politicizzano la stessa sopravvivenza biologica dell’uomo. I movimenti per il clima hanno già cambiato il mondo con le loro vittorie culturali ponendo il tema ambientale al centro del dibattito. Qui arriva la prima risposta alla domanda iniziale: quello che prima di tutto possiamo fare è pretendere che le innovazioni culturali vengano rispecchiate da quelle politiche.

Perché lo si possa pretendere, è necessario essere radicali. Questo è per i due autori il messaggio principale. Una radicalità del pensiero che si traduce nel poter parlare di un futuro completamente diverso da quello attuale senza essere considerati dei visionari: la realizzazione che la nostra realtà deve cambiare a livello sistematico non perché sbagliata, ma perché non può più essere sostenibile. Un avvertimento che già nel 1988 James Hansen espose al Senato americano. In una società post traumatica la crisi climatica deve essere raccontata attraverso le possibilità che offre, dando voce e corpo alla forte domanda di radicalità che secondo i due autori rimane assopita tra la maggioranza della popolazione.

Vivace il dibattito scaturito dalle domande del pubblico che si indirizzano verso il settore della cultura e dell’editoria, ricordando come il greenwashing delle aziende più inquinanti a livello nazionale e globale si rifletta soprattutto nel finanziamento di grandi eventi culturali. Si unisce un appello alla conservazione del nostro patrimonio forestale, utilizzando la carta in modo responsabile.

È Cotugno a chiudere, con un invito ad avere ancora fiducia nella democrazia e nei partiti come agenti di rappresentanza e mediazione tra politica e società civile, perché da lì con una forte spinta esterna può avvenire il cambiamento di cui abbiamo bisogno. Come ricorda Deotto, sarà la mancanza di cambiamento che ci porterà alla distruzione, non il contrario.

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