La scatola nera della cultura
6 9 2018
La scatola nera della cultura

Declino e rinascita della cultura tra antico, moderno e contemporaneo

Piazza Alberti mantiene la sua caratteristica di spazio generativo, aperto alle sperimentazioni, agli incontri intergenerazionali, al coinvolgimento di nuovi soggetti culturali


La crisi della cultura è uno dei miti più studiati e approfonditi della nostra epoca, caratterizzato da un atteggiamento che oscilla tra il catastrofico e l’apocalittico, da sempre motivo di discussione tra gli intellettuali. Ma sia la parola “apocalisse” che la parola “crisi” hanno un’etimologia ben precisa: entrambe portano con sé l’idea di rivelazione e cambiamento. Ma allora, davvero la cultura sfuggendo di mano? E quanto dobbiamo preoccuparci?

Alessandro Mantovani, collaboratore della rivista di cultura militante La balena bianca assieme a Lorenzo Cardilli, intervengono e mediano il dibattito su quanto la contemporaneità sia in crisi in termini di cultura. Ne parlano, in uno scambio di pareri filosoficamente e letterariamente intenso i professori Emanuele Coccia e Gianluigi Simonetti.

Tema caro alla letteratura è quello dell’apocalisse, approfondito in particolare con la nascita del post-moderno. I maestri del romanzo post-moderno scrivono testi come L’animale notturno o Bruciare tutto, che rivelano quanto l’occidente avverta nella fine del mondo la minaccia e lo sfacelo. Tutto questo nasconde in realtà una paura del cambiamento, e l’impossibilità di accettare la sfida dell’adattamento a nuove situazioni, che comprendono anche il nuovo modo di diffondere la cultura. L’Occidente è sempre stato affascinato dalla novità in ogni suo aspetto, dalla politica, alla tecnologia: viviamo nell’attesa che esca qualcosa di nuovo o che si dica qualcosa di nuovo. Nuovo è bello, nuovo è intrigante. Eppure tutto questo ci spaventa, ci blocca, non ci permette di cogliere cosa può esserci di davvero interessante nel cambiamento, che quindi ci trova impreparati e senza armi di difesa. Per questo motivo parliamo di crisi, di apocalisse, di fine di un’epoca.


L’idea dell’apocalisse è parte dell’eredità che ci ha consegnato il Novecento: secondo Coccia, parlare di apocalisse è come parlare della luce delle stelle, qualcosa di lontano da noi e che non ha nulla a che fare con il nostro mondo. Stiamo già vivendo il momento successivo alla fine del mondo: è già finito l’Occidente, lasciando spazio all’affermazione dell’Oriente, così come sono già finite le risorse del pianeta. È già successo, e abbiamo lasciato che fosse così. Ma dopo questa crisi può e deve esserci vita, può e deve esserci una speranza di rinascita. La sfida che dobbiamo cogliere è quella di ripensare il modo di fare cultura, in un’epoca in cui tutto è a disposizione a portata di click. Ognuno di noi ha accesso ad una quantità di sapere che solo qualche decennio fa non ci si immaginava neanche. Possiamo comprare libri, leggere romanzi, informarci su ciò che succede attorno a noi. Si tratta però di un’arma a doppio taglio: Mantovani si chiede infatti, quanto la cultura sia ormai diventata un fruizione collettiva di un prodotto e quanto sia ancora importante interpretare un testo.

Pochi di noi sanno davvero come funzionano le cose; la cultura rimane spesso oscura in quanto non ne conosciamo le cause moventi - proprio come una scatola nera. Ma è giusto considerare anche l’altra faccia della medaglia: si parlava di “cultura di massa” negli anni 60, quando l’istruzione era accessibile a pochi. Il reale problema è la quantità di cultura che ci circonda: un oceano entro cui siamo quasi obbligati addentrarci, proprio per la facilità con cui ci viene messo a disposizione. Più problematica è l’interpretazione: oggi è profondamente mutato il modo di fare letteratura e di scrivere romanzi. Non ci interessa più lo sviluppo di un personaggio, ma preferiamo rendere il testo multimediale, corredandolo con audio, video o immagini, come se questo potesse renderlo più interessante o più facilmente leggibile.

Oggi la letteratura è più realistica, parla ancora delle esperienze delle persona, ma non è più basata con la riflessione profonda sulla psiche e sulla mente umana. In questo sta la potenza dei Festival o degli incontri letterari: tutto diventa veloce, meglio fruibile e magari, più divertente piuttosto che il «lento corpo a corpo con il testo letterario». Nonostante questo è bene ricordare che i libri parlano ancora di sentimenti, tradimenti, passioni, sfide, come lo facevano secoli fa. I sentimenti umani sono sempre gli stessi, così come lo sono le loro espressioni, cambia solo il modo con cui vengono rappresentati.

L’interazione tra umano e tecnologico sembra quasi una critica all’umanesimo, che in realtà sta solo perdendo posizione. I romanzi, le poesie, i generi letterari non sono morti: occorre solo ripensare al modo in cui renderli più vicini ai lettori. Dopo anni di egemonia, sono diventati generi di nicchia. Non ha senso difendere l’umanesimo a spada tratta: finiremmo per perdere l’entusiasmo che spinge qualsiasi lettore ad aprire un nuovo libro. È proprio su questo che ci dobbiamo interrogare, e cercare di capire cosa trarre di positivo da questo cambiamento: i traumi non rappresentano mai una totale sconfitta.


Per chi vuole approfondire il percorso, Festivaletteratura propone: Nelle puntate precedenti, mercoledì 5 settembre ore 16.00 - Pensieri in comune, mercoledì 5 settembre ore 21.15 - Pitching in piazza, giovedì 6 settembre ore 10.00 - Nelle puntate precedenti, giovedì 6 settembre ore 12.00 - Blurandevù, giovedì 6 settembre ore 19.00 - Pitching in Piazza, venerdì 7 settembre ore 10.00 - Nelle puntate precedenti, venerdì 7 settembre ore 12.00 - Blurandevù, venerdì 7 settembre ore 19.00 - Pensieri in comune, venerdì 7 settembre ore 21.15 - Pitching in piazza, sabato 8 settembre ore 10.00 - Nelle puntate precedenti, sabato 8 settembre ore 12.00 - Blurandevù, sabato 8 settembre ore 19.00 - Pensieri in comune, sabato 8 settembre ore 21.15 - Pensieri in comune, domenica 9 settembre ore 10.00 - Blurandevù, domenica 9 settembre ore 12.00.

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