La Storia, punto e basta
7 9 2022
La Storia, punto e basta

Una storica dell’arte e uno storico del Medioevo uniti per regalare un ultimo ricordo a Chiara Frugoni – come lei avrebbe voluto

C’è un’atmosfera strana, oggi, prima dell’evento. La sala si riempie prestissimo, ma mentre siamo in attesa che l’evento cominci, non siamo circondati dal solito brusio, dalla fibrillazione dell’anticipazione; è un suono sommesso, più melodia che rumore, che ci avvolge mentre aspettiamo che i tre relatori comincino. E non è solo perché il pubblico è rapito dalla bellezza architettonica e artistica della Basilica di Santa Barbara, dagli affreschi di Raffaello che ci sovrastano, anche se probabilmente questa spiegazione sarebbe piaciuta alla grande assente di questa serata: il motivo di questa pacatezza, un centro vuoto attorno a cui si stabilizza il suono.

Ci pensa Andreas Steiner a rompere gli indugi: è vero, è strano essere qui a parlare dell’ultimo libro di Chiara Frugoni, pubblicato ora che lei non c’è più. «Un onore e un onere», dice, essere qui in sua assenza, a ricordarla tramite quest’ultima opera: A letto nel Medioevo. Eppure forse non c’è occasione migliore di ricordarla che non così, parlando di un libro che la rappresenta così tanto, e grazie all’affiancamento di Virtus Zallot, storica dell’arte, e Duccio Balestracci, storico del Medioevo: due professori che rispecchiano le due nature di Chiara Frugoni, una studiosa unica nel suo genere, che Zallot descrive come «storica delle immagini del Medioevo». Frugoni, infatti, è stata la prima a vedere continuità tra due discipline che prima di lei si tendeva a separare: l’arte e la storia. E mentre Zallot e Balestracci si punzecchiano amabilmente intorno a questa falsa rivalità, sembra quasi di vederla là sul palco tra di loro, bonaria, a mettere pace per stare allo scherzo.

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L’arte usata per studiare la storia, e la storia usata per capire l’arte. L’iconografia vista non come disciplina a sé stante, ma come fonte storica vera e propria: un enorme patrimonio dell’antichità che ancora oggi ci parla, se siamo in grado di porre le giuste domande. È stato sempre questo lo scopo di Chiara Frugoni, porsi domande sempre nuove, incastrando in modi inediti la fonte iconografica con la documentazione scritta degli archivi, della tradizione letteraria e anche con le suggestioni della cultura materiale. Eppure, ci ricorda Balestracci, c’era chi pensava che gli storici dovrebbero porsi domande diverse, concentrarsi su una storia diversa, quella dei grandi avvenimenti e personaggi. Ma chi decide questi canoni, chi stabilisce cos’è la cosiddetta «macrostoria» e «microstoria»? C’è una storia sola, la storia «punto e basta», esclama Balestracci: quella a cui Frugoni si è dedicata da sempre, sin dalla tesi di laurea, ispirata da uno dei magnifici mosaici di Otranto.

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E questa dedizione a una storia viva, fatta di oggetti, persone, animali, bambini, ma anche di timori, folclori, letteratura, arte e cultura in tutte le sue forme, Frugoni l’ha destinata tutta al Medioevo: un’epoca che è ancora poco apprezzata ancora oggi – un po’ come il tifo per quelle squadre sconosciute che però a volte si qualificano per i Mondiali di calcio, scherza Zallot – ma che contiene un patrimonio iconografico ricchissimo. Le immagini del Medioevo sono colme di significati, ma bisogna saperle interpellare, comunicarci da pari a pari, senza tentare di applicargli sistemi analitici contemporanei che non gli appartengono, ci dice Zallot, chiedendosi sempre il perché di ogni dettaglio, e non dando mai nulla per scontato. Un po’ come ha sempre fatto Frugoni, che non a caso non era una divulgatrice, parola che nasconde un terribile «volgo», né una disseminatrice, anglicismo zoppicante: era una comunicatrice. Comunicava con le immagini, e comunicava con noi.

Noi, che ci siamo seduti nel pubblico pronti a un incontro senza Chiara Frugoni, e che invece l’abbiamo trovata lì. Presentissima sul palco, tra la competenza di Zallot, che evoca una pletora di immagini e colori a riempire il bianco della Basilica, e Balestracci, che ci interpella con il suo umorismo da toscano, in un «voi» continuo che non ci lascia scampo, non lascia spazio affinché si inserisca alcuna malinconia nella sala. Un ricordo fatto di vita, di colori, di bonarietà e perfino di risate: quello che Chiara Frugoni avrebbe voluto.

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