La straordinaria storia di Giovanna d'Arco
10 9 2023
La straordinaria storia di Giovanna d'Arco

Una nuova lettura delle carte del processo che portò alla sua condanna

Pochi sono quelli che non conoscono, almeno per sommi capi, la storia di Giovanna d’Arco. L’eroina francese è uno dei personaggi più straordinari e controversi della storia: avvolta da un velo di mistero e bizzarria, al contempo è figura rivoluzionaria e carismatica, ispiratrice di opere d’arte e letteratura, punto di riferimento del nazionalismo francese, persino santa della Chiesa cattolica.

L’occasione per riparlare di lei qui al Festivaletteratura arriva dalla recentissima ripubblicazione degli atti del suo processo di condanna per i tipi di Marsilio ad opera di Teresa Cremisi, nome mastodontico dell’editoria italiana e francese, amministratrice al Museo d’Orsay e alla Bibliothéque Nationale de France, oggi presidente di Adelphi. Con lei ha dialogato la scrittrice Chiara Valerio, nel panorama italiano da sempre voce acuta e attenta al problema del femminile e dell’identità di genere.

Giovanna d’Arco, nata nel 1412 in una famiglia di piccoli proprietari terrieri lorenesi, già dall’età di tredici anni riferisce di ricevere delle visioni da parte dell’arcangelo Michele e delle sante Caterina e Margherita che la spingevano a recarsi in aiuto al delfino e futuro re di Francia Carlo VII, impegnato nella guerra dei Cent’anni contro l’Inghilterra, che occupava gran parte del suolo francese con l’aiuto del duca di Borgogna. Grazie al suo grande carisma e alla sua ferma convinzione, riesce a convincere Carlo a permetterle di accompagnare l’armata francese impegnata nell’assedio di Orléans. Pur non rivestendo alcuna carica militare formale, a diciassette anni Giovanna si pone alla guida dell’esercito e dopo duri combattimenti le truppe, ispirate dal rigore e dalla disciplina che aveva imposto, ottengono la vittoria e catturano la città. Carlo è incoronato re di Francia a Reims e tutto sembra promettere altri successi. È il culmine della sua carriera: vittoriosa e fulgida, è celebrata e amata da tutti: si vede in lei la portatrice del riscatto francese dopo anni di sconfitte. Ma ben presto la situazione cambia. Dopo il fallimento di un assalto per riconquistare Parigi, Giovanna viene via via abbandonata dal re, fino a che, forse per un tradimento, verrà catturata dai borgognoni e consegnata agli inglesi. Proprio il rapporto tra fiducia e vittoria è uno dei temi più interessanti emersi dal dialogo: Giovanna è un outsider per la corte francese, viene vista come uno strumento, un oggetto di cui servirsi, comodo fintanto che ottiene clamorosamente e inaspettatamente successo ma che si butta via, in cui non si crede più appena, com’è umano accada, qualcosa va storto.

Si apre a questo punto un processo dalla chiara matrice politica e il cui esito era già stato stabilito dalle autorità ancora prima del suo inizio. Non trovando altri capi di imputazione validi, la fanciulla viene accusata di indossare abiti maschili ed è incriminata per eresia (con gravi violazioni di forma: aveva riconosciuto l’autorità della Chiesa e del papa). Il processo, durato quattro mesi e mezzo, fu condotto dallo spregiudicato Pierre Cauchon, vescovo di Beauvais e si risolse con il rogo pubblico di Giovanna (che aveva diciannove anni) a Rouen il 30 maggio 1431.

A partire dal racconto dei fatti, ripercorrendo le carte processuali, emerge come Giovanna si trovasse sinceramente a proprio agio negli abiti maschili (pur non rinnegando mai la propria femminilità) e che concepisse l’armatura quasi alla stregua di una cintura di castità, una barriera fra lei, consacrata a Dio, e le impurità del mondo. Un mondo incapace, come forse ancora oggi, di comprendere la sua diversità e di sfuggire al rigido schema dei ruoli e della tradizione.

Una nota curiosa è poi quella legata all’ironia: dai documenti appare chiaro che Giovanna rispondeva talvolta in maniera sarcastica o del tutto irriverente ai suoi accusatori. Quando le fu chiesto se le sue voci le avessero rivelato che sarebbe evasa dalla prigione, rispose. «E io dovrei venire a dirvelo?». E alla domanda se l’arcangelo Michele avesse i capelli ribatté: «Perché mai avrebbero dovuto tagliarglieli?». Tuttavia anche il senso del comico è cambiato molto nel corso dei secoli: ciò che a noi oggi pare divertente sfrontatezza, nel medioevo era un normale codice di comunicazione che denotava al massimo sicurezza e coraggio.

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