La tradizione di un Popolo
9 9 2016
La tradizione di un Popolo

La versione del Talmud che viene presentata da Giulio Busi e Stefano Levi Della Torre fa parte di un grande progetto editoriale di studio e traduzione che in un certo senso è anche un atto di riconquista per i tanti torti subito dal testo ebraico. Il Talmud infatti è stato il libro più bruciato e “perseguitato” di tutto l’Occidente. E questo nonostante, forse, sia stato quello meno letto e conosciuto. Dal 1200 è stato vietato per ragioni teologiche ma soprattutto a causa dell'ignoranza riguardante il suo reale contenuto, dovuta a denunce di ebrei convertiti che pensavano in questo modo di affrancarsi presso la loro nuova comunità. L’oscurantismo stesso, come termine, nasce da un episodio legato al boicottaggio di questo testo e di quanti chiedevano almeno di leggerlo prima di metterlo all’indice.

Il Talmud è fondamentalmente un grande corpus di interpretazioni giuridiche delle norme ebraiche riguardanti i vari aspetti anche della vita quotidiana. Discussioni e scambi di opinioni tra maestri che si basano comunque sulle leggi contenute nella Bibbia. Sul Sinai Mosè riceve la rivelazione; il Talmud invece non è rivelato ma è un contenitore di discussioni tra intellettuali che cercavano risposte, senza pretendere di pronunciare verità assolute. Iniziò ad essere scritto in un momento di profonda difficoltà del popolo ebraico, dopo le distruzioni di Gerusalemme del 70 e del 135, alle quali seguì la diaspora. Diventa quindi una narrazione identitaria, una visione laica e umana della religione che si trasforma in un riferimento fondamentale perché il popolo ebraico continui ad essere tale nonostante tutto. Forse è proprio questo che non è stato perdonato al testo, quello di aver consentito fattivamente agli Ebrei di rimanere tali, di conservare la propria autonomia. E questo giudaismo rabbinico diventò così “il giudaismo”.

(caricamento...)

A volte può sembrare che discuta su cavilli di poca importanza. Ma è proprio nel particolare che si verifica effettivamente se una legge funziona e quindi anche le discussioni su quello che sembra un’inezia si rivelano in realtà importanti. Il Talmud ha poi un’origine particolare perché nasce come una trasgressione. Questo perché è un’elaborazione della Mishnah (che deriva a sua volta dalla Torah) ma soprattutto è la trascrizione della Torah “sulla bocca”, della tradizione orale (che paradossalmente non si poteva dire). Diventa però subito tradizione proprio per questo suo legame con l’oralità, con la necessità del popolo ebraico di raccontarsi per non perdere la propria identità (concetto che abbiamo trovato spesso in vari incontri di questo Festival). Il Talmud diventa lo sforzo di mettere in pratica questa tradizione, di renderla viva e così trasmissibile, di mettere ordine in una situazione di caos. Adotta un sistema, tra l’altro, molto moderno nelle sue pagine: quello dell’utilizzo dei “link”. Ogni discussione rimanda ad un riferimento nella Torah e la discussione successiva anche, e così via. Rimandi continui, citazioni e riferimenti per recuperare quello che veniva fatto un tempo, come si svolgevano i riti quando c’era il tempio, quando c’erano i sacerdoti, quando c’era Israele. Un libro “plastico”, mobile, perché sempre proteso in avanti ma con riferimenti costanti al passato, teso nello sforzo di raccontare e comprendere la vita del popolo ebraico. Questo per aiutare il popolo a riconquistare il reale, in una situazione di costante discriminazione (e tentativi di cancellazione) a cui si oppone. Un documento di resistenza intellettuale di un popolo discriminato.

Festivaletteratura