Fiabe rivisitate nell'opera di Francesca Matteoni e Laura Pugno
Un incontro fra poetesse trova il loro terreno comune nel mondo delle fiabe. Silvia Righi, poetessa anche lei ma di un’altra generazione, ci guida fra il ragazzo dalla testa di lepre e le arpie di Francesca Matteoni e le sirene e le melusine di Laura Pugno. Fiabe rivisitate che in fondo sono solo un quarto modo di intendere le fiabe, dopo quello dei libri letti nell’infanzia e dei racconti dei genitori, quello ripulito della Disney e poi le crude versioni originali, spesso scoperte da più grandi.
Entrambe le autrici hanno scritto delle fiabe moderne: Tundra e pieve Matteoni, Sirene e ora Melusina Pugno. Scrivere a partire dalle fiabe vuol dire innanzitutto conoscere la molteplicità delle loro varianti, gli undici cigni che possono diventare, da una cultura all’altra, sette corvi, dodici buoi o oche selvatiche; ma soprattutto conoscere il variare dei loro finali, che spesso sono crudeli, e che talvolta anche nelle versioni più disneyane riescono a restare agrodolci.
Un tratto comune fra le
opere delle due autrici è il ricorrere della metamorfosi. I nomi
di Pugno, che racconta in versi il superamento della perdita di un
amore nell’abbracciare
un amore più grande e universale, è un libro in cui «i pronomi
trascorrono gli uni negli altri». A questo proposito Pugno racconta
un apologo: quando un re chiese ai suoi sapienti di rivelargli una
verità destinata a non cambiare mai, loro, dopo averci ragionato
notti e giorni, gli regalarono un anello con scritto «anche questo
passerà». In Matteoni il tema si lega al nodo centrale di Tundra
e pieve:
non c’è vera frattura fra umano e naturale, «tutto torna e
riemerge, magari anche in modo violento». Accettare la metamorfosi
vuol dire riconoscersi in questa visione della realtà – nella
poetica di Matteoni l’umano o è marginale, o è completamente in
armonia con tutto il resto – ma anche trovare una strada per
risemantizzare i propri morti, dando loro un’altra forma. Fra le
fiabe nelle quali l’ordine originale è perfettamente restaurato e
quelle in cui qualcuno viene trasformato, per esempio, in un capriolo,
Matteoni preferisce di gran lunga le seconde.
La metamorfosi nelle loro opere si esprime con la presenza di creature a metà fra umano e animale. Matteoni si sofferma sul senso simbolico di alcuni degli ibridi che popolano i suoi testi: avere una testa di lepre vuol dire «marcare la propria differenza e mostrarla», «vivere nella soglia»; le «neo-arpie» sono specchio della visione di un femminile che nei suoi testi è più forte delle controparti maschili. Pugno racconta il mito della melusina, che – a differenza della morgana che rapisce gli uomini e li porta nel suo mondo – vive nel nostro mondo, lo abita, e lì si innamora. L’uomo fortunato che riceve l’amore di una fata avrà solo da accettare di non guardarla mai mentre si fa il bagno. Ma si sa che le proibizioni nelle fiabe sono fatte per essere infrante.
Una delle ultime domande, venuta dal pubblico, suggerisce alle due poetesse una riflessione sulla letteratura per l’infanzia; che a differenza della fiaba è un genere recente, e che ingloba tanta letteratura che prima degli anni ’60-’70 nessuno avrebbe associato a un target così preciso. Matteoni riflette, con una certa preoccupazione, su quella parte della letteratura per l’infanzia che è concepita a tavolino seguendo precetti pedagogici. «È importante che ci sia anche il buio nei libri» dice «anche perché, ve lo ricorderete, da piccoli ci piaceva avere paura».