La differenza tra viandante e viaggiatore per Umberto Galimberti
No, la tecnica non è uno
strumento soltanto nelle mani dell'uomo, non è più così da molto tempo: Hegel fu tra i primi a sostenerlo, ma anche Marx lo teorizzò a lungo. Il denaro è diventato il primo scopo, non più unicamente necessario alla soddisfazione
dei bisogni e produzione dei beni: da mezzo a fine. Il problema, per Umberto Galimberti, è che gli scopi senza tecnica
restano soli. La politica decideva se e soprattutto perché si facevano le cose
ai tempi di Platone: oggi non è l'etica, è l'economia a decidere. E il populismo galoppante, figlio di tutto questo,
vive dell'incompetenza di tutti, cercando soluzioni semplici a
problemi complessi.
Per Kant, invece, l'etica è fondata sulla ragione e la riflessione; l'uomo va trattato come un fine e non come un mezzo. Un concetto non nuovo, che ha molto in comune con l'etica antropocentrica giudaico-cristiana. Sarà Weber a introdurre l'etica degli effetti delle nostre azioni, l'etica della responsabilità. La tecnoscienza contemporanea per Galimberti, invece, non sa che cosa cerca. Il nazismo è stato l'apoteosi dell'etica della tecnica (vd. Quelle tenebre, Adelphi): non importava ciò che si provava, ma quanto bene si svolgeva il lavoro. Fu Freud a rivoluzionare l'idea di etica, data dalle pulsioni inconsce.
L'età della tecnica di
oggi si basa sul fatto che possiamo fare tante cose, pur non prevedendo gli effetti di quello che faremo sul lungo
termine: è pericoloso. Siamo viaggiatori, non viandanti: un
viandante non ha scopi, sono le sue orme a fare il pensiero, non
ha un sentiero prestabilito e quando incontra gli altri/l'altro è
obbligato a fare i conti con l'esperienza della differenza. Non è
una sorta di anarchica erranza, però, perché ha la sensazione del
limite, come l'avevano gli antichi greci (sul Tempio di Apollo a
Delfi era scritto: «Mai
troppo»
). Per questo riesce infine a capire che non è tutto al centro
dell'uomo (il famoso problema dell'antropocene).
Edward Wilson negli anni
Novanta sosteneva che l'uomo fosse la forza geofisica più
distruttiva della natura e che nessuna specie fosse così
autodistruttiva. Prosegue poi accennando al riscaldamento globale, all'effetto serra, all'inquinamento. L'uomo dovrebbe seguire le
leggi della natura, avere un minimo di moderazione (per il
professore il Cristianesimo ha infranto questo principio dicendo agli uomini
che c'è una parte di loro che non morirà mai). Tutto è ancora
permeato di valori cristiani nei nostri tempi, più o meno nascosti,
con buona pace del «Dio
è morto»
di Nietzsche. Il messaggio di fraternità cristiana ad
esempio, ripreso dalla Rivoluzione Francese, sembra quasi dimenticato per strada.
Fa retromarcia di nuovo a Kant e cita poi un suo bellissimo saggio, Per la pace perpetua. Lì il filosofo tedesco anche aveva proposto un ideale di fratellanza che partiva dal principio radicale di eliminare gli stati e sviluppare una sorta di contemporaneo spirito cosmopolita, essere e sentirsi cittadini del mondo. «Agire come membri dell'intera umanità, non come schiavi della tecnica». È interesse di tutti salvare la Terra: questo deva ancora diventare psiche collettiva junghiana, ed è qui che si sbroglia la matassa. Ma l'etica del viandante è soprattutto l'etica del trascendimento, perché di solito la trascendenza ha un significato religioso o mistico. Ma non sempre.
Carl Jasper parlò di trascendenza immanente, qualcosa che si deve verificare qui e ora, nel mondo pratico di ogni giorno, un cambio di mentalità adattato ai tempi. È spaventoso il livello culturale raggiunto per Galimberti; quanti arrivino persino a vantarsi della loro ignoranza. «I diritti dell'uomo separati dai diritti della natura portano alla distruzione del genere umano». Come disse Steven Spielberg in Minority Report: «Riesci a vedere?»