Ma cosa memiamo a fare?
9 9 2023
Ma cosa memiamo a fare?

Esorcizzare l’impotenza collettiva nell’epoca della cultura visiva

Le persone iniziano ad arrivare con più di trenta minuti di anticipo nella piccola Chiesa di Santa Maria della Vittoria. È un pubblico eterogeneo pronto ad ascoltare Mattia Salvia, giornalista freelance editor di Vice e poi di Rolling Stone, in dialogo con Ivan Carozzi, ex caporedattore di Linus e autore di trasmissioni televisive. L’evento di oggi vuole proporsi come occasione per tentare di comprendere la fatica che la società contemporanea fa ad accettare la realtà circostante e l’elaborazione informazionale che genera, prima fra tutte la memificazione degli eventi traumatici o di risonanza globale. Salvia ha provato a darne una risposta con Interregno: iconografie del XXI secolo edito Nero Editions, un saggio brillante che presenta un’analisi accurata dell’uso che facciamo nel quotidiano delle immagini.

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La nostra realtà ci causa un senso costante di stupore e spaesamento. Gli avvenimenti degli ultimi anni sono stati talmente incomprensibili, a tratti surreali, da far mettere in discussione gli strumenti che l’Occidente ha usato per decenni per metabolizzarli. Da quando le ideologie del passato si sono sbriciolate, così come le regole di convivenza civile, la società ha perso i suoi punti di riferimento politici e sociali. La sete di nuovi miti è cresciuta tanto da convincere alcuni a credere che a un certo punto della Storia si sia passati alla timeline sbagliata. Per dirla in parole povere si tratterebbe di una linea temporale alternativa dove i paradigmi sono ribaltati e l’assurdo diventa possibile. Come l’elezione a Presidente degli Stati Uniti del magnate Donald Trump. La verità è molto più semplice però: stiamo vivendo la fine della fine della Storia e questo è uno dei modi in cui la nostra società esorcizza il senso di impotenza generato dal capitalismo. «Noi veniamo da un’epoca storica molto particolare, cioè quella della Fine della Storia, un’epoca di trionfo del set valoriale dell’Occidente, del liberalismo, della democrazia, dei mercati e abbiamo introiettato una serie di lenti con cui guardare il mondo. Ora che quel mondo non esiste più abbiamo difficoltà ad adattarci al nuovo mondo perché lo vediamo ancora con quelle stesse lenti, anche se sono completamente inadeguate» argomenta Salvia.

Il nostro è un vero e proprio Interregno, ossia un tempo in cui, per citare Gramsci, «il vecchio muore e il nuovo non può nascere» ed è in questo interregno che si verificano i fenomeni morbosi più svariati. La sensazione di irrealtà che permea l’attualità viene così negata, edulcorata reinterpretata e poi resa virale. Ci giriamo dall’altra parte, lanciamo challenge e sdrammatizziamo. È in questo modo che scegliamo di interrogare le immagini e analizzare i grandi processi storici.

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Carozzi riporta poi l’attenzione su esempi concreti come quello di Jake Angeli, lo sciamano condannato per l’attacco a Capitol Hill del 6 gennaio 2021. «Il suo è un movimento nostalgico – afferma Salvia – La spinta verso un passato mitico, quello dei nativi americani, che è il passato più passato che si possa pensare.» Insomma, abbiamo nostalgia della Fine della Storia come la definiva il politologo statunitense Francis Fukuyama. Non vogliamo pensare a cosa materialmente significano gli eventi che viviamo.

Le cause di questa trasformazione sono per Salvia da ricercarsi nella destrutturazione delle masse e nella sparizione degli strumenti che servivano a passare le istanze dal basso verso l’alto. Nel benessere generato dalla Fine della Storia i sindacati sono diventati superflui e si sono atrofizzati. Allo stesso modo le proteste hanno perso la loro spinta ideologica e hanno ora lo scopo, più o meno manifesto, di ispirare. «È questa mancanza di coesione dal basso che ci tiene nell’interregno e non ci permette di far nascere il nuovo» sottolinea il fondatore di Iconografie del XXI Secolo, un archivio in cui raccoglie immagini considerate secondarie, brevi istantanee dell’assurdo contemporaneo prima che vadano perse. Un lavoro prezioso di storicizzazione di una conoscenza fragile e impalpabile.

Fra le derive più inquietanti e affascinanti al tempo stesso della memificazione della realtà sicuramente la “diplomacy shitposting” ossia l'utilizzo di meme, battute stupide, foto modificate e contenuti da parte di ambasciate e corpi diplomatici che apparentemente non c'entrano nulla con la discussione in corso per dirottare l'attenzione dal tema principale, vanificando così qualsiasi tipo di dibattito costruttivo. Un tempo guidata dal bisogno di mantenere rapporti di buon vicinato e accordi economico-militari vantaggiosi, la diplomazia oggi perde molto del suo scopo originario. L’ambasciata americana che cerca di trollare i russi a colpi di meme, l’Ucraina che tenta di seguire la stessa scia sono solo alcuni esempi: tutto è lecito. Ed è così che la guerra fra Russia e Ucraina inizia online ben due mesi prima di quella reale sul territorio. Donald Trump ne è il primo grande interprete.

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Ancora Salvia: «È come se noi fossimo vissuti in un mondo che funzionava con determinate regole che progressivamente hanno perso di senso ma tutti abbiano continuato a seguirle. Poi è arrivato Trump, il primo a chiedersi apertamente perché stessimo rispettando ancora quella finzione.» I refusi dei tweet di Trump – strategicamente trasformati in meme – sono il primo vagito del mondo nuovo. Il primo vero momento in cui le regole vengono messe in discussione.

Sul finire dell’incontro Carozzi propone un’interpretazione del linguaggio memetico a Salvia: «Si può dire che i meme siano assimilabili ai tarocchi?». «Diciamo che le due cose condividono un nodo centrale: in entrambi i casi è l’interpretazione di chi li guarda a determinarne il significato. Leggiamo i cambiamenti tramite i meme come faremmo con i tarocchi. In un modo distorto e individualistico rivendichiamo la necessità di strumenti adatti ad interpretare il mondo.»


i volontari di Festivaletteratura hanno intervistato Mattia Salvia durante la kermesse:

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Festivaletteratura