Making toasts: Roger Rosenblatt
8 9 2016
Making toasts: Roger Rosenblatt

L'arte di imparare a preparare la colazione nel dolore

Sotto gli alberi della Casa del Mantegna, nel secondo giorno di Festivaletteratura, Roger Rosenblatt parla – con acutezza poetica – dell'argomento che più di tutti provoca afasie: la morte. Making toasts. A family story, tradotto in Italia con il titolo di Una nuova vita, è un memoir e insieme un'elegia alla figlia Amy, morta (sono vietati tutti gli eufemismi) a 38 anni, di infarto, mentre correva sul tapis roulant.

Rosenblatt racconta, con la puntualità fattuale che gli è data da anni di articoli per il Time magazine, il New York Times, il Washington Post e altri, una metamorfosi autobiografica che viene, naturale, dalla scelta che fa con la moglie Ginny di trasferirsi da Long Island al Maryland e con-vivere con i tre nipoti e il genero. Making toasts (Una nuova vita) è la biografia corale di una famiglia che decide – perché non potrebbe fare altro – di continuare a fare le cose di sempre (la colazione, l'asilo, la festa di compleanno, i libri la sera, la buonanotte), di fronte a un dolore che è indecifrabile, e rimane indecifrato.

Boppo, come viene chiamato Rosenblatt dai nipoti, viene presentato da Jessica, la più grande, come uno che «lives in the basement and does nothing»: uno che ha accantonato ogni altro scopo e senso e si è dedicato, del tutto, a prendersi cura di tre bambini, e scriverne. Quest'atto di scrittura, dice Rosenblatt su spunto di Francesco Abate, non è che il gesto immediato di fare quello che si sa fare: «se fossi stato carpentiere avrei costruito una banchina, se fossi stato pittore avrei dipinto qualcosa». Ma è scrittore ed ha scritto perché «there's only a way for me to rescue ourselves and rescue others: through words»: c'è solo un modo per salvare gli altri e salvarmi ed è con le parole. Questo rigore intellettuale nel narrare il dolore si accompagna, con l'armonia della quale è capace un grande scrittore, con una tensione al riso, all'autoironia della propria debolezza e all'atto verbale sdrammatizzante.

Un momento bellissimo e di tenerezza semplice è quando Boppo legge al nipote Bubbies (James), di venti mesi, le Lettere di James Joyce, fingendo che Joyce le abbia scritte proprio a lui, Bubbies: «Caro James. Oggi sono stato alla spiaggia a giocare, è stato molto bello. Tuo James Joyce» ma anche «Caro James, odio la Chiesa cattolica, voglio fuggire dall'Irlanda per sempre. Tuo James Joyce». «Del resto – dice Roger Rosenblatt, un autore che scrive benissimo di cose difficili – dovevo pur divertirmi anche io.»


[I lettori anglofoni possono leggere un estratto di Making toasts, appena pubblicato in traduzione italiana, sul sito del New Yorker.]


Di seguito l'intervista all'autore realizzata dalla Redazione di Festivaletteratura:

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