No, non è mai meglio star zitti
11 9 2020
No, non è mai meglio star zitti

Rivendicare il diritto di dire che un bestseller o un classico non ci piace è possibile: dopotutto, perfino Giovanni Raboni l’ha fatto. Centosettanta volte.

Giovanni Raboni, scrittore, poeta, traduttore, critico, profondamente milanese, intensamente novecentesco. Eppure il contesto editoriale e giornalistico in cui scriveva le sue recensioni e lavorava come editore sembra così attuale e simile a quello odierno che il pubblico di lettori, a sentirne la puntuale descrizione di Luca Daino, non può esimersi dallo scambiarsi occhiate loquaci. Negli anni Ottanta, in un sistema basato su logiche di amicizie e gerarchie, un campo minato di nomi intoccabili e testi sacri così simile al clima di oggi, Raboni rivendicava il diritto di leggere un libro, vedere un film, o andare a teatro, per poi scrivere cosa ne pensava, esprimendo con onestà ciò che il suo gusto gli dettava. Un rivoluzionario.

È proprio contro la mancanza di onestà che Raboni sferrava i suoi attacchi più feroci: per lui la letteratura era prima di tutto un «luogo di verità umana» e la critica doveva rispettare questo imperativo supremo. E infatti nelle centosettanta stroncature raccolte in Meglio star zitti? ricorrono spesso assalti alle cosiddette «opere false», diffuse e amate in virtù dei cliché intellettuali a cui ricorrono per ricoprire la loro vuotezza interiore. Tra queste opere, Raboni annovera non solo i bestseller del momento, ma perfino gli scritti di Jorge Luis Borges, diventando così con il suo esempio un modello di onestà intellettuale che i lettori devono poter pretendere non solo dagli scrittori, ma anche dagli altri lettori. Perché i critici letterari militanti che scrivono sui quotidiani – o, oggi, su blog e social network – sono prima di tutto lettori, a cui gli altri appassionati di letteratura si rivolgono per recensioni, consigli, e opinioni.

Forse è proprio il rifiuto di canoni e gerarchie che costituisce il tratto più moderno della critica di Raboni: l’anticipazione di un dibattito oggi centrale e scottante, la rimessa in discussione degli autori canonizzati – e a volte letteralmente santificati – dalla tradizione letteraria. In nome della supremazia del proprio gusto. Non possiamo però dimenticarci che il gusto di cui parla Raboni è un gusto addestrato da decenni di letture, da una dedizione letteraria totale: la democratizzazione della letteratura a cui oggi assistiamo grazie alle nuove modalità di espressione date dal web significa anche la creazione di opinioni granitiche, di fazioni unite e opposte, e dà adito a dibattiti che anziché essere costruttivi diventano scontri all’ultimo sangue, che spesso non portano a niente. E allora, l’interrogativo che Raboni si poneva, e che forse a volte sorge prepotente anche nei lettori e nei critici di oggi, è il seguente: non sarà forse meglio star zitti? Il libro è la risposta a questa domanda retorica. Un secco, deciso reiterato no.

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