Non esiste bellezza più bella della diversità
8 9 2023
Non esiste bellezza più bella della diversità

Fluttuare nella complessità. Le storie dei campioni Veronica Yoko Plebani e Daniele Cassioli

«Stiamo per conoscere due grandissimi campioni. Nella vita e nello sport». Inizia così Federico Buffa l’incontro in piazza Castello con Veronica Yoko Plebani, campionessa di triathlon, e Daniele Cassioli, il più grande sciatore nautico paralimpico di tutti i tempi. Veronica, portatrice di vittorie. Secondo nome Yoko, figlia dell’oceano. Azzurro come i suoi bellissimi occhi. A quindici anni la colpisce una meningite fulminate. E questo significa perdere le mani e i piedi. Riempirsi di cicatrici. Come nella cultura giapponese la ceramica rotta viene riportata in vita con inserti dorati, così Veronica si dà una seconda vita con il suo nuovo corpo. Che però è quello di prima, diverso ma uguale. Lei è sempre Veronica, con un prima e un dopo, ma sempre la stessa. Risponde alle avversità certamente insieme a chi le sta intorno (la mamma chiama i genitori di Bebe Vio per chiedere aiuto), ma alla fine si è un po’ sempre da soli. La solitudine non è tanto quando sei in ospedale, ma quando esci e fai confronti. E poi reagisci e ti reinventi. La malattia ti dà la possibilità di cambiare, l’imperfezione porta ad una continua ricerca di sé. La perfezione è una dimensione finita, senza slancio. L’imperfezione è dinamica e conduce all’originalità.

Insieme a Francesca Lorusso, la sua prestatrice di parole, Veronica Yoko Plebani scrive Fiori affamati di vita dove racconta tutte queste cose. La narrazione coinvolge l’evento traumatico, ma porta la storia altrove. Ad immaginare, a disegnare con il cuore. A vedere come ci si evolve. E a diventare anche mille persone e a fare mille cose. Veronica era ignara del futuro e piena di pensieri, come tutti gli adolescenti. E in questo flusso si è inserita la malattia. Ma subito dopo anche lo sport. Viene portata dal padre, subito dopo l’uscita dall’ospedale, a fare la Maratona di New York. E proprio lì ritorna a camminare. Poi canoa e snowboard. Partecipa alle Olimpiadi, fino a scoprire il triathlon. E in questa specialità vince il bronzo a Tokyo 2021. Ma continua a fluttuare nella complessità e continua a vivere come un fiore affamato di vita.

Daniele invece è tutt’altro che un fiore. È un guitto, pieno di energia, romano de Roma, tifoso, ribelle. E uno dei più grandi sportivi di sempre con i suoi 25 titoli mondiali, 27 europei e 41 italiani. GOAT, “greatest of all time”. E cieco dalla nascita. Da piccolo in giro per ospedali per trovare una cura. «Quando poi si passò ai santuari, davvero abbiamo capito che non c’era più niente da fare». Così Daniele scherza sulla sua disabilità con il pubblico. È tenace, estremamente ironico, innamorato della vita. Si ribella soprattutto al “mi dispiace” che viene naturale dire ad una persona come lui. Invece quando il mondo ti toglie qualcosa, lo ami un po’ di più per quello che hai, per quello che è rimasto. Tifa anche Roma, non bastasse il suo problema. E quando va allo stadio assorbe tutto quello che di bello c’è nello sport, la collettività.

Le voci che diventano una voce sola. La vibrazione che corre sugli spalti. Tutta la sua energia la mette in ogni attività che svolge. Scrittore, DJ, pianista, laureato da 110, trainer motivazionale. Fonda una associazione per aiutare i bambini ciechi a fare sport. «Perché a cosa serve vincere tanto se poi ci sono bambini che non possono fare ginnastica?». Occorre fare sport, occorre vivere quello che si ha e quello che si è. Occorre lavorare su se stessi. Certamente con il “vento contro” (come il titolo del suo libro, in audiolibro letto dallo stesso Buffa), ma pronti sempre a lasciarsi andare. Anche con le ragazze che approccia in questo modo: «Ciao, sono Daniele e sono cieco. Ti posso toccare?». Che al giorno d’oggi... Ma è questo coraggio a lasciarsi andare che gli permette di riuscire in tutto, con ambizione e leggerezza. Con bellezza. Perché non esiste bellezza più bella della diversità.

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