Oltre la critica patriarcale: l’arte del femminismo e dell’altro
7 9 2023
Oltre la critica patriarcale: l’arte del femminismo e dell’altro

La storica e critica dell’arte Elvira Vannini spiega il legame tra narrazione patriarcale nella critica d’arte e lotta femminista.

Entrando nella sede dell'evento, alle elementari Pomponazzo, si ha l’impressione di ritornare a scuola, tra l’alfabeto colorato e le cartine geografiche consumate appese al muro, la cattedra di legno e metallo in cui siede la maestra-autrice. Ai banchi questa volta a strisciare le sedie sul pavimento sono adulte e adulti. Il clima è completato dalle immagini proiettate sulla LIM in attesa di mostrarsi al pubblico. Il tema, da vera assemblea autogestita, è proprio il ruolo del femminismo nella critica dell’arte.

Così come ogni altro ambito della nostra cultura, afferma la storica e critica d’arte Elvira Vannini, anche la critica d’arte incarna e ha sempre incarnato una visione e un paradigma patriarcale del mondo. Ma che effetto ha questo sulla nostra visione dell’arte? Certo, ci impedisce di comprendere la potenza della rottura provocata dall’utilizzo dell’arte come strumento di liberazione femminista. Una rottura creativa che inizia nella conoscenza delle artiste contemporanee e della oggettificazione del corpo femminile come strumento di conquista patriarcale e coloniale. Un’arte che, insomma, si fa a tutti gli effetti politica.

Le immagini in bianco e nero riflesse sul muro dall’autrice rappresentano una donna nuda, mostrata di schiena, che sul corpo porta i segni di una violenza subita. Si tratta del corpo dell’artista americana-cubana Ana Mendieta, che come tesi di laurea decide di riprodurre nella sua stanza lo stupro e l’uccisione di una studentessa del suo campus universitario, sdoganando al contempo lo stupro come tema inenarrabile e il corpo come oggetto fobico. Molto forte nell’arte femminista è anche il legame della lotta contro il patriarcato con tutti gli altri sistemi di oppressione, quella che noi oggi chiamiamo intersezionalità. A partire dal legame con la terra e l’ecologismo, in cui è la forza della natura a rappresentare quella dei movimenti femministi che si scagliano sulla società come elementi della natura.

La stessa Ana Mendieta, il cui rapporto con la terra è legato al suo destino da esula, rappresenta questa congiunzione di lotte con l’opera la Venere Nera scavata come solco residuale nel terreno. Una rappresentazione corredata dall’invenzione creatrice che trova la sua base nella leggenda e nel territorio. La Venere Nera rivive così anche come falsa tradizione in una figura inventata e altamente simbolica. Come ragazza nera e nuda, scoperta nella sua dimensione femminile e razzializzata, che si libera dall’oppressione de colonizzatori grazie al suo forte legame con la terra di nascita. Tema di liberazione simbolizzato dalla figura religiosa brasiliana dell’Escrava Anastacia, della schiava con la maschera, strumento di schiavitù della parola ma anche di liberazione se questa viene spaccata dalla lotta. Una critica al colonialismo che si traduce in una denuncia del femminismo bianco e prevalentemente occidentale e che vede proprio nel colore della pelle un elemento performativo e poetico contro un sistema a cui queste artiste non si vogliono adattare. La scrittrice Sara Ahmed afferma nel suo manifesto di non essere disposta «ad essere inclusa se questo vuol dire essere inclusa in un sistema ingiusto». E una lotta non può essere completamente inclusiva se non comprende e si prende cura di tutte le altre.

Il linguaggio dell’arte, come d’altronde ogni linguaggio definito tale, racconta oltre le immagini standard della narrazione tradizionale. Racconta l’altro, l’altro dell’altro, tutto ciò che non è convenzionale. Un linguaggio di cui si sono riappropriati i movimenti femministi, soprattutto quelli sudamericani che sulla loro pelle sperimentano tutti gli strati della discriminazione. Un violador en tu camino del collettivo cubano Las Tesis è il segno più evidente di questa riappropriazione, inneggiata ogni anno nelle piazze femministe di tutto il mondo.

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Meno conosciute a noi occidentali sono invece le azioni di collettivi come il Polvo de Gallina Negra con la ricetta perfetta per «sorprendere stupratori a casa o dal vicino, quelli che ti perseguitano al lavoro, quelli timidi e aggressivi, attivi e passivi» o della performance del 1977 In Mourning and In Rage fuori dal municipio di Los Angeles contro la violenza di genere nella città e a ricordo delle sorelle uccise.

Oggi il ruolo delle donne nell’arte rimane ancora una questione non risolta. Le manifestazioni passate e attuali come quelle di NUDM non sono ancora riuscite ad influenzare concretamente il paradigma culturale e sociale, tanto che il massimo passo avanti in questo senso è stato il ripiegamento delle quote rosa. Il femminismo artistico ha fatto invece passi avanti trovando una propria identità, ma pagando come prezzo la perdita della sua unicità. Non sono rare manifestazioni culturali, come sfilate di moda, che si appropriano di messaggi femministi indebolendo la potenza e l’incisività del loro messaggio. «Tecnica prediletta del capitalismo» afferma Elvira Vannini. In confronto agli studenti delle Accademie di Belle Arti poi, composti per il 70% da studentesse, le esposizioni nei musei rimenarono ancora prevalentemente prerogativa maschile.

È più che mai necessario continuare quel percorso intrapreso dalle autrici donne e femministe negli anni passati, così come dalla stessa Carla Lonzi, protagonista di questo festival, che abbandona per protesta la sua carriera nel mondo dell’arte corrotto dal patriarcato. Le rappresentazioni altre, quelle femministe e intersezionali mai più che oggi possono suscitare un interesse nelle istituzioni culturali, è nostro compito preservarle nella loro forza e concretezza.

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