Perdere la propria storia
9 9 2016
Perdere la propria storia

Raccontare il presente con il romanzo

Raccontare la complessità del presente e cercare di dargli un senso è difficile, e spesso reportage, interviste, inchieste non bastano. Per fortuna però esistono i romanzi, che permettono di interessarsi a quello che tutto il resto dimentica: le piccole storie di ognuno, apparentemente banali, dando un senso più ampio alla vicenda umana e facendo diventare ogni storia universale.

Jenny Erpenbeck è una scrittrice tedesca dal passato eclettico: cresciuta nella Repubblica Democratica Tedesca, con un nonno che per fuggire alle persecuzioni naziste era emigrato a Mosca negli anni Trenta e un padre fisico, ha lavorato nel teatro e nell'opera. Nel 2013 ha deciso di dedicare del tempo ai rifugiati e raccontare la loro storia. Dopo un anno e mezzo di ricerca, che ha fatto emergere storie individuali e contesto generale, ma anche i problemi che circondano la migrazione, è nato Voci del verbo andare.

L'opera di fantasia, ma fortemente ancorata alla realtà, segue le vicende di un gruppo di migranti che arrivano a Berlino e vengono ospitati in una struttura dove gli viene dato loro cibo e un luogo per dormire e dove gli viene insegnata la lingua, ma, a causa del loro status di richiedenti asilo, non possono lavorare. Accanto a loro troviamo Richard, un professore tedesco di filologia classica, che un po' alla volta si avvicina a questo gruppo di profughi e, per cominciare a capirli, mette in discussione quello che sapeva fino a quel momento.

Jenny Erpenbeck, pur non negando la complessità del rapporto con i migranti, con il suo libro tenta di restituire un quadro il più possibile completo della vita di queste persone, per permettere al lettore di guardare al presente con occhi diversi.

Neocolonialismo – che assume le forme di sfruttamento delle risorse – ma anche incapacità di alcuni dei paesi di provenienza di sfruttare queste risorse, atteggiamento di apertura da parte del popolo tedesco e impossibilità di fare qualcosa se non cambiano le leggi: il romanzo non semplifica nulla e si ritrovano spesso entrambi i lati di una medaglia. Eppure in tutto questo emerge il desiderio di capire, convivere, accogliere. In fin dei conti, come dice Richard, «era solo se quei profughi riuscivano a sopravvivere in Germania, che Hitler la guerra l'aveva persa davvero».

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