Processo a Gesù
12 9 2015
Processo a Gesù

Gerusalemme, una Pasqua di duemila anni fa

Sin dai tempi remoti del brillante Procuratore della Giudea di Anatole France, e fors'anche da prima, molti scrittori non hanno resistito alla tentazione di raccontare i giorni, i luoghi e i personaggi della Passione in mondo narrativo: si tratti di resoconti ortodossi o riletture iconoclaste, i testi di fiction sul tema della fine di Cristo sono ormai assai numerosi. Da alcuni anni Corrado Augias ha manifestato il suo grande interesse per i temi religiosi, affrontandoli in numerosi lavori, da una prospettiva atea permeata nondimeno di ammirazione per gli insegnamenti del Nazareno; ora, con Le ultime diciotto ore di Gesù, prova a dire la sua sul processo che infiammò Gerusalemme una Pasqua di duemila anni fa.

Compiute approfondite ricerche di carattere storico e teologico, il grande giornalista ha dato al tutto veste di romanzo, inserendo personaggi e sequenze frutto della sua fantasia; ciò nonostante si è mantenuto rigoroso e attento alla verità storica, nel tentativo di dare un quadro il più possibile esatto degli eventi, anche a rischio di confutare quelle che per secoli sono state considerate verità: Augias, rifacendosi allo studioso tedesco Rudolf Bultmann, ritiene che il messaggio di Cristo risalti tanto più luminoso se epurato di ogni elemento sovrannaturale.

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Una delle prime vittime dell'inchiesta di Augias è Ponzio Pilato: non quel nobile e tormentato amministratore di cui ci riferiscono i Vangeli, bensì un uomo rozzo e inutilmente severo, del tutto alieno alla mentalità ebraica e perciò disprezzato dalla popolazione. Appare dunque inverosimile il fatto che si sia appellato a una folla che disprezzava e dalla quale era disprezzato, che abbia compiuto il gesto tipicamente israelitico di lavarsi le mani, che abbia potuto pensare alla liberazione di Barabba, assassino di un soldato romano. In ogni caso, data l'angustia del cortile del pretorio, poteva confrontarsi con ben poche persone, non certo rappresentative della volontà di un popolo intero; popolo tuttavia condannato per ciò solo a un futuro di discriminazione e persecuzione.

Che il processo a Gesù non avesse fondamento legale è fatto che Augias contesta: dal punto di vista della potente casta sacerdotale, gesti come la cacciata dal tempio dei cambiavalute e dei mercanti di animali, figure indispensabili allo svolgimento dei sacrifici rituali, dovevano senz'altro apparire come atti di sfida e di ribellione al sistema tradizionale nel suo complesso. Il Nazareno si poneva in radicale alternativa al loro potere, tanto da essere acclamato Re dal popolo festante: era dunque un rivale da eliminare.

Si trattava di un predicatore celeberrimo e non c'era affatto bisogno di un delatore per identificarlo. Quale sarebbe stato allora il ruolo di Giuda Iscariota? La risposta potrebbe trovarsi nel Vangelo gnostico tradizionalmente attribuitogli: egli fu non già un traditore prezzolato, ma uno strumento della volontà del Maestro, che, morendo, voleva dare compiutezza al suo operato. Però egli, straziato e morente, inchiodato alla croce, in un estremo sussulto di disperazione, si abbandonò in un umanissimo "Dio mio! Dio mio! Perché mi hai abbandonato?" per poi deporre il capo e spirare.

Ma allora, senza prodigi, senza miracoli, pure senza la risurrezione, ritenuta concetto infantile e quasi ridicolo, dov'è che Augias fa risiedere la grandezza di Cristo? Nel suo magistero, di portata altissima, questo sì immortale lungo tutta la Storia. Hillel, rabbino dell'ultimo secolo dell'età antica, sintetizzava la Torah asserendo: "Ciò che non è buono per te non farlo agli altri". In questa frase, il cui senso si ritrova espresso in più punti del Vecchio Testamento, è riassunto il nocciolo della morale ebraica. Aver virato in positivo questo concetto, ordinando agli uomini di "amare il prossimo come se stessi", mettendo il bene e l'amore al centro della religione e della società: questa fu la rivoluzione di Gesù.

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