Rendere visibile l'invisibile
8 9 2022
Rendere visibile l'invisibile

Come l'utopia si nutre di immagini

L’utopia è una questione di immagini: la rappresentazione di un ideale che diventa realtà distorta, accelerata e nitida; di una visione, spesso accompagnata da una costellazione di figure, di forme simboliche, che a loro volta suggeriscono immaginari. Oggi, come in passato, si ha bisogno di utopie: la società cerca di rappresentarsi e cerca di rappresentare anche le forme non dette, non esplicitate. L’utopia ha una natura duplice: la prima, attrattiva, è la meta ideale, lo spazio dove accade ciò che si è immaginato. La seconda, invece, è propulsiva: un movimento asintotico, forse da ricondurre agli effetti che le stesse utopie generano nelle società.

L'utopia ha sempre fattezze verosimili, perché parte dagli elementi preesistenti per inventarsi. Per sua natura invisibile, rimane consistente nelle fattezze concettuali, così l’immagine si fa carico di intercettarne alcune. La condensazione dell’utopia passa inevitabilmente per la frammentazione e per il ri-assemblaggio delle immagini della nostra realtà: in fondo, l’utopia è immagine che si fa dispositivo, capace di tradurre narrazioni visive e suggerirne di nuove.

Il senso dell’incontro tra Luigi Gallo, Luca Galofaro e Luca Molinari parte da qui: riflettere insieme sull’esercizio della visione e sul suo valore come strumento d’innesto. Luigi Gallo, storico dell’arte e direttore della Galleria Nazionale delle Marche, e Luca Garofalo, professore associato all’Università di Camerino e co-fondatore degli studi IaN+ e LGSMA, hanno inevitabilmente due approcci diversi all’immagine, accomunati però dalla stessa attitudine ossessiva e dalla predisposizione alla figurazione.

(caricamento...)

A partire dalla celebre Città Ideale, ospitata proprio nella Galleria Nazionale delle Marche, Molinari traccia un percorso per spiegare al meglio la direzione e il significato di entrambi gli sguardi, ispirati da un’opera tanto significativa. La città ideale serve infatti come dispositivo per anatomizzare lo sguardo dei due, per capire l’approccio e il confronto quotidiano con la visione. La ricerca ossessiva del Quattrocento, e soprattutto la sua auto-rappresentazione, era rivolta alla verità astratta e pura. Si delineano così due “visioni” appunto, che partono dall’immagine o che arrivano all’immagine, percorrendo tracciati curiosi e sorprendenti. La prima, quella di Gallo, è sicuramente visione endogena: va cercata dentro l’immagine, dentro ogni particolare, ogni dettaglio, dentro la sua storia e anche nella celebre committenza. In pochi minuti Gallo traccia una storia schematica dell’opera, soffermandosi sulla figura di Federico da Montefeltro, mecenate ma soprattutto accentratore di competenze in grado di supportarlo e accompagnarlo nella sempre più chiara definizione della sua utopia. Urbino infatti diviene paradiso di artisti, letterati e matematici, quasi a supportare il duca nel tentativo di concretizzare il suo immaginario.

La seconda visione, invece, di Luca Galofaro, è decisamente esogena. L’immagine deve uscire dalla sua materialità e trasformarsi, contaminarsi e distruggersi, costantemente: l’utopia, in fondo, è impossibile da rappresentare. Per Galofaro la Città Ideale è «volontà di rappresentare un pensiero».

«Una rappresentazione così pura è una sfida. È interessante notare come questa immagine, per la sua carica simbolica, ha generato nel corso del tempo diverse narrazioni». Narrazioni che vanno certamente studiate, comprese e messe in discussione. Il continuo intreccio di immaginari deve essere sempre messo in discussione, per consolidare l’utopia attraverso la contaminazione di ideali. La rappresentazione di Garofalo si colloca quindi in una cartografia utopica, funzionale a trovare dei riferimenti.

Così come Federico da Montefeltro, il compito di oggi è costruire immagini capaci di rafforzare le proprie utopie, rendere visibile l'invisibile, allargare le proprie utopie contaminandole di "altro". Come scriveva Roberto Calasso ne L'innominabile Attuale è necessario riassemblare costantemente il reale e ogni sua forma di rappresentazione.

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