Quando il lettore e Danielewski collaborano nella costruzione di significati
Spazio. Spazio è ciò che divide un carattere dall’altro. Spazio è l’intervallo tra due parole. Spazio è il bianco di un’impaginazione atipica. Spazio è anche la distanza tra due persone: fisica o affettiva. Spazio sono i luoghi di una casa che cresce dall’interno a mano a mano che il lettore scorre le pagine di House of leaves. Spazio è terrificante quando assume nuove connotazioni. Spazio è ciò che sul pianeta terra non riusciamo a condividere democraticamente con chi non ha voce.
È di spazi che racconta Mark Z. Danielewski nell’intervista con Simona Micali. Spazi che vengono stravolti nel suo bestseller House of leaves: romanzo ergodico costruito su più livelli di narrazione che si intersecano per amplificare, anzichè disperdere la narrazione. Poichè, come asserisce Espen J. Aarseth nel suo libro Cybertext: «nella letteratura ergodica sforzi non superficiali sono richiesti per permettere al lettore di attraversare il testo». Ed è proprio questa la finalità del romanzo di Danielewski: consentire al lettore un’esperienza personale, permettergli di immedesimarsi al punto tale da attivare emozioni di sofferenza dentro di sé per trovare l’autenticità del racconto. I lettori di House of leaves vivono il romanzo come un’esperienza terapeutica, uno strumento che guida al cambiamento e fa riscoprire una nuova verità una volta finita la lettura.
Prendendo in mano House of leaves è lampante, fin dalla prima pagina, il suo carattere anticonvenzionale. Esso si traduce in un’impaginazione eterodossa composta da pagine antitetiche: in alcune è presente solo una frase o una parola o un punto mentre in altre vi sono intricate elaborazioni di paragrafi a cui si sovrappongono note e postille, in una distribuzione dello spazio dissonante e talvolta claustrofobica. L’orientamento stesso delle frasi è rivoluzionario: esse seguono traiettorie diagonali, verticali, orizzontali e indefinite. Come li definisce l’autore: sono versi esuberanti in una struttura controllata.
Danielewski cita The end of everything parlando del processo di scrittura: la letteratura deve andare alla fonte di quello che siamo, all’essenza autentica. In questo modo l’autore si percepisce come un fisico delle particelle che esplora i livelli, sempre più profondi, della materia. Procedendo verso il nucleo, procedendo appunto verso la fonte. E ci rivela che, nella sua complessa opera, parte è definita dalle probabilità e parte dal caos. In un intricato gioco di disciplina ed energia libera, pura, che sbatte contro gli elementi della sua narrazione creando pattern caotici. E lui? Lui si percepisce sul versante ripido e ghiacciato di una montagna indossando scarpette da ballo.
L’autore conclude l’incontro parlando della sua ultima pubblicazione: There’s a place for you. Un racconto breve in cui torna ancora una volta il concetto di spazio: uno spazio che non riusciamo a condividere con chi non è uomo, uno spazio su cui imponiamo il nostro antropocentrismo, uno spazio che non gestiamo democraticamente assieme ad animali, piante, ecosistemi e vite che non hanno voce poichè non parlano il nostro linguaggio.
Per approfondire, qui la registrazione completa dell'evento.
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