Romanzi ergodici in spazi claustrofobici
10 9 2020
Romanzi ergodici in spazi claustrofobici

Quando il lettore e Danielewski collaborano nella costruzione di significati

Spazio. Spazio è ciò che divide un carattere dall’altro. Spazio è l’intervallo tra due parole. Spazio è il bianco di un’impaginazione atipica. Spazio è anche la distanza tra due persone: fisica o affettiva. Spazio sono i luoghi di una casa che cresce dall’interno a mano a mano che il lettore scorre le pagine di House of leaves. Spazio è terrificante quando assume nuove connotazioni. Spazio è ciò che sul pianeta terra non riusciamo a condividere democraticamente con chi non ha voce.

È di spazi che racconta Mark Z. Danielewski nell’intervista con Simona Micali. Spazi che vengono stravolti nel suo bestseller House of leaves: romanzo ergodico costruito su più livelli di narrazione che si intersecano per amplificare, anzichè disperdere la narrazione. Poichè, come asserisce Espen J. Aarseth nel suo libro Cybertext: «nella letteratura ergodica sforzi non superficiali sono richiesti per permettere al lettore di attraversare il testo». Ed è proprio questa la finalità del romanzo di Danielewski: consentire al lettore un’esperienza personale, permettergli di immedesimarsi al punto tale da attivare emozioni di sofferenza dentro di sé per trovare l’autenticità del racconto. I lettori di House of leaves vivono il romanzo come un’esperienza terapeutica, uno strumento che guida al cambiamento e fa riscoprire una nuova verità una volta finita la lettura.

(caricamento...)

Prendendo in mano House of leaves è lampante, fin dalla prima pagina, il suo carattere anticonvenzionale. Esso si traduce in un’impaginazione eterodossa composta da pagine antitetiche: in alcune è presente solo una frase o una parola o un punto mentre in altre vi sono intricate elaborazioni di paragrafi a cui si sovrappongono note e postille, in una distribuzione dello spazio dissonante e talvolta claustrofobica. L’orientamento stesso delle frasi è rivoluzionario: esse seguono traiettorie diagonali, verticali, orizzontali e indefinite. Come li definisce l’autore: sono versi esuberanti in una struttura controllata.

(caricamento...)

Danielewski cita The end of everything parlando del processo di scrittura: la letteratura deve andare alla fonte di quello che siamo, all’essenza autentica. In questo modo l’autore si percepisce come un fisico delle particelle che esplora i livelli, sempre più profondi, della materia. Procedendo verso il nucleo, procedendo appunto verso la fonte. E ci rivela che, nella sua complessa opera, parte è definita dalle probabilità e parte dal caos. In un intricato gioco di disciplina ed energia libera, pura, che sbatte contro gli elementi della sua narrazione creando pattern caotici. E lui? Lui si percepisce sul versante ripido e ghiacciato di una montagna indossando scarpette da ballo.

L’autore conclude l’incontro parlando della sua ultima pubblicazione: There’s a place for you. Un racconto breve in cui torna ancora una volta il concetto di spazio: uno spazio che non riusciamo a condividere con chi non è uomo, uno spazio su cui imponiamo il nostro antropocentrismo, uno spazio che non gestiamo democraticamente assieme ad animali, piante, ecosistemi e vite che non hanno voce poichè non parlano il nostro linguaggio.

(caricamento...)

Per approfondire, qui la registrazione completa dell'evento.

(caricamento...)

Tutti gli altri contenuti web possono essere ascoltati sul sito 2020.festivaletteratura.it.

Festivaletteratura