Seguire la dimensione verticale
7 9 2023
Seguire la dimensione verticale

L'atto di fede della scrittura per la libertà della coscienza

Facendo il suo ingresso nella Basilica Palatina di Santa Barbara, Mircea Cărtărescu volge lo sguardo in alto, affascinato e allo stesso tempo intimorito, come lui stesso confermerà poi all’inizio del suo incontro: è la prima volta che l’autore, considerato il maggiore romanziere della letteratura rumena contemporanea, tiene un suo evento all’interno di una chiesa.

E proprio dalla suggestione dell’ambiente in cui si trova immerso, l’autore coglie lo spunto per affrontare il primo tema che gli viene sottoposto dall’intervista di Elvira Mujčić: un’occasione per parlare della sua concezione della scrittura, nel suo prendere vita tra fede e fedeltà. Cărtărescu allora prende per mano il suo pubblico in un viaggio all’interno della sua personalissima officina di scrittura, guidandolo a scoprire tutta la complessità del processo nel suo svolgimento, dai più astratti e profondi meccanismi del pensiero che innervano la sua produzione fino alle più concrete abitudini quotidiane che lo accompagnano fedelmente nell’atto pratico.

Proprio alla base del processo di scrittura sta – secondo l’autore – un atto di fede, che ha come presupposto la consapevolezza della separazione tra lo scrittore e la sua coscienza: ogni scrittore infatti deve lasciare che la propria mente sia il più possibile libera di esprimere il flusso dei pensieri che affiorano spontaneamente dall’inconscio e dalle memorie in esso contenute. E poiché la vulcanica mente dell’autore pullula di immagini visionarie, Cărtărescu utilizza due metafore per fissare il suo concetto: la prima è la metafora del cavallo e del fantino, rispettivamente simbolo dello scrittore e della sua mente, per cui è il cavallo a vincere la gara, non il fantino, che deve lasciare che la potenza insita nel cavallo si esprima senza inibizione; la seconda immagine è quella della donna incinta, che porta in sé la vita di un feto che cresce senza che lei intervenga attivamente per garantirgli la crescita nel suo grembo. Alla base della produzione c’è quindi un innatismo della scrittura, per cui il codice dell’esistenza di un libro è ad esso intrinseco; l’unico ruolo dello scrittore è quindi quello di un portale, che possa dare un'espressione verbale al messaggio e che permetta al libro di fare il suo ingresso nel mondo. Le pagine scritte potrebbero quindi essere paragonate ai Prigioni michelangioleschi, in cui la pietra è concepita come un carcere materiale della sostanza interna: il ruolo dello scultore-artista è solo quello di agevolare con i suoi mezzi lo sprigionamento in atto della potenza inespressa. In questa riflessione, Cărtărescu dimostra una raffinatissima autocoscienza di quelli che sono i meccanismi alla base del suo processo di scrittura, sintomo di un ingegno da lungo tempo abituato a porsi interrogativi sul proprio operato. Sulla base di questa concezione l’autore si addentra anche nei particolari più concreti della sua operazione di scrittura, rivelando di scrivere i suoi libri quasi senza alcun ripensamento: assecondando fin dalle scuole superiori un naturale impulso all’ordine della pagina che eviti tagli e cancellature, Cărtărescu scrive a mano libera, prendendo le mosse dalla scrittura di diari che lo ha accompagnato per quasi cinquant’anni ininterrotti. E quale forma espressiva è più spontanea di quella del diario personale, in cui il flusso dei pensieri che emergono allo stato di coscienza può prendere voce senza ricevere alcuna censura formale o morale? L’autore scrive liberamente, senza nemmeno avere un programma di partenza prefissato, ma lasciando che la scrittura si nutra spontaneamente da se stessa.

La memoria funziona per lui come un oggetto frattale, che nella sua geometria complessiva si compone di singole parti che riproducono lo schema generale nel quale sono incluse: per ogni visione complessiva lo scrittore può focalizzarsi con una lente d’ingrandimento su parti sempre più piccole e particolari, addentrandosi nel microcosmo che compone la realtà. Al contrario, da un particolare è possibile allargare progressivamente lo sguardo alla figura nel suo insieme, al macrocosmo complessivo che lo ospita. Nei suoi libri c’è un'immagine principale da cui dipartono tante piccole immagini che la riprendono e riproducono, ciascuna portando in sé un elemento miracoloso. Secondo Cărtărescu, saper descrivere la realtà con una prospettiva di realismo è un prerequisito fondamentale per ogni scrittore che voglia addentrarsi nella metafisica, così come ogni grande pittore astrattista nelle sue fasi giovanili di formazione ha dedicato tempo allo studio e alla riproduzione del reale. Bisogna quindi conoscere il reale e averne padronanza prima di potersi permettere l’ardore intellettuale di piegarlo all’espressione della propria psiche, divertendosi nelle anamorfosi che trasformano la realtà. Anche in questo caso, l’autore rimanda a un’immagine molto rappresentativa: un aereo che ha bisogno di un lungo spazio di decollo nella dimensione orizzontale per poter caricare abbastanza i motori da elevarsi secondo una dimensione verticale e reggere quindi l’altezza del suo volo.

Quella che nasce come una riflessione sulla scrittura si trasforma lentamente, nel corso dell’incontro, in una riflessione sulla condizione umana: d’altra parte Cărtărescu sostiene che non ci sia alcuna distinzione oggettiva tra vita e letteratura e che il grande sogno rivoluzionario di ogni scrittore sia quello di cambiare la vita e renderla più piacevole, capace di portare amore, affetto e leggerezza, senza la pretesa di «battere come un martello contro la fronte dei lettori», come invece sosteneva Franz Kafka. La letteratura serve non per dipingere delle porte sui muri, ma per sfondare questi muri aprendo dei veri e propri varchi sulla coscienza umana.

Così l’autore attinge alle memorie personali in Melancolia, da lui considerato il suo libro più intimo, in cui la memoria dei genitori viene trasfigurata attraverso le immagini delle imponenti statue di antiche divinità egizie, arcane e sacre come i grandi modelli a cui l’uomo sempre rapporta il proprio operato.

Ma l’opera su cui più di tutte convergono le convinzioni dell’autore è Solenoide (2015), capolavoro di sintesi tra l’autoriflessione e le grandi questioni morali che investono l’umanità nel suo insieme. Nel suo lavoro Cărtărescu assume come base narrativa «un'autobiografia controfattuale», la storia di un giovane scrittore il cui lavoro poetico viene rifiutato dal maggiore critico del cenacolo letterario che egli frequentava. Tuttavia, tale delusione innescherà in lui una presa di coscienza riguardo al compito di scrittore, una rivelazione di come questa pratica non significhi ottenere grande successo, ricevendo premi e riconoscimenti, ma fare un atto di fede verso la propria vocazione ed elevarsi così al di sopra della banalità di ogni percorso di vita regolare e ordinario. La vicenda narrata è controfattuale perché Cărtărescu, all’interno del cenacolo intellettuale più importante di Romania da lui frequentato, all’età di soli ventun anni ottiene il plauso del maggiore critico che presenziò alla lettura di un suo poema in versi, La caduta, a cui seguì il grande successo nazionale e internazionale dell’autore: il suo personaggio non è tuttavia la sua nemesi, ma un rispecchiamento della consapevolezza raggiunta riguardo a quale sia il vero scopo della scrittura, ovvero l’elevazione umana dello scrittore.

Nonostante la vicenda autobiografica sia determinante per la costruzione del romanzo, Cărtărescu ha concepito Solenoide come un’opera relativa alla condizione umana, alle domande che ci ossessionano: quali sono i nostri valori, come possiamo definirci come esseri umani, chi siamo in definitiva. La dimensione verticale della conoscenza è allora la strada da percorrere anche per la salvezza? Quello alla base di Solenoide è un tema escatologico proprio dello gnosticismo antico: la necessità dell’evasione dal corpo, che rappresenta la prigione materiale della coscienza umana. Tutti i suoi personaggi tendono a fuggire da questo labirinto di sofferenza dato dalla compressione morale: la coscienza umana è imprigionata a tre livelli, chiusa nel cervello dal quale proviene, che a sua volta è imprigionato nel corpo che lo contiene. In queste prigioni concentriche che si sviluppano tridimensionalmente non esiste possibilità di fuga; l’unica alternativa possibile è elevarci in maniera perpendicolare, sfondando la quarta dimensione, seguendo una direttrice verticale. Solo così facendo, nel complesso dissidio morale contemporaneo posto da Albert Camus tra solitaire e solidaire, gli esseri umani potranno porsi finalmente al di sopra dell’individualismo che imbriglia le loro coscienze e scegliere sempre di realizzare in libertà il bene comune.


Qui l''intervista realizzata a Mircea Cărtărescu dai volontari della Redazione di Festivaletteratura:

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Festivaletteratura