Siamo quel che abitiamo
8 9 2016
Siamo quel che abitiamo

Luca Molinari racconta la casa, specchio del mondo

«Casa» è una parola semplice: quattro lettere – come quattro mura – che racchiudono al loro interno un intero universo, fatto di oggetti, ricordi, frammenti di vita. Perciò, inevitabilmente, la casa è da sempre un ritratto e uno specchio straordinario in cui l’uomo si riconosce. Nonostante questo, l’architettura contemporanea ragiona molto sulla città e lo spazio pubblico e riflette poco sulle case, quelle normali, abitate da ciascuno di noi.

Lo fa invece con eleganza Luca Molinari, studioso di architettura, docente universitario, saggista e critico, nel breve saggio Le case che siamo (la cui idea di fondo, ha raccontato l’autore, è scaturita proprio a Festivaletteratura, da una lavagna tenuta nella scorsa edizione). Molinari, in dialogo con Marco Belpoliti, racconta il suo modo di pensare alla casa come a «un reale laboratorio di comprensione e trasformazione del mondo». Non a caso il verbo “essere” sostituisce già nel titolo del saggio il verbo “abitare”: «Si potrebbe rileggere la nostra vita guardando alle case in cui si è abitato, anche solo per un giorno». Il discorso si allarga alla storia quando Molinari ricorda che, pur essendo la casa il luogo di primo esercizio dell’architettura, l’architetto comincia a progettare case in età moderna, dopo la nascita dell’esigenza, tutta borghese, della privacy. E si dipana dagli anni del boom economico e delle «case per tutti» ad oggi, quando l’esigenza di ripensare l’edilizia improntandola al riutilizzo del patrimonio esistente si fa sempre più stringente. Interrogarsi oggi sulla casa, un luogo tanto elementare come la parola che lo denota, vuol dire insomma continuare a domandarsi chi siamo. E quale futuro possibile potremo abitare.

Festivaletteratura