Siamo qui per essere pedanti
8 9 2023
Siamo qui per essere pedanti

Baldi e Latrinico danno inizio al ciclo di incontri sulla critica letteraria con un occhio al mondo classico

Che succede se il polytropos Ulisse diventa un uomo complicato e non più l’uomo dal multiforme ingegno di cui siamo sempre stati abituati a leggere? È probabile che alla fine del suo nostos tornerà comunque a Itaca, ma - diciamoci la verità - a pensarlo complicato ci sembra già un altro eroe, troppo vicino ai nostri drammi quotidiani, quasi meno greco, decisamente meno epico. È proprio questo che succede quando si sceglie una parola piuttosto che un’altra: cambia tutto. E Vincenzo Latronico, in dialogo con il critico, filologo e traduttore classico Dino Baldi, vuole che questo sia chiaro fin da subito: tradurre significa prendere posizione.

I due autori inaugurano a Santa Maria della Vittoria il primo degli incontri intitolati La parte dei critici, quattro momenti che si prefiggono l’intento di allargare il discorso sulla critica letteraria svincolandola dalla funzione quasi pubblicitaria che ricopre oggi sugli inserti culturali, ma anche sui social. In risposta a questa critica un po’ tiepida, questi dibattiti intendono prendersi la libertà, se serve, anche di parlare male, precisa con piglio sfrontato Latronico.

In particolare, oggi si parla della critica letteraria dei classici del mondo greco e romano. Quelli polverosi, sì, quelli delle versioni difficili, quelli che leggiamo sempre con un po’ di senso del dovere.

Baldi chiarisce immediatamente che quei testi «non sono arrivati con il piccione viaggiatore»: tradurre un classico è un lavoro estremamente complesso, un processo che richiede un incessante decidere e caratterizzare. E questo lavoro Dino Baldi lo spiega in maniera dettagliata e appassionata. «Quanto sono noioso», si scusa. Ma il suo interlocutore lo rassicura, «siamo qui per essere pedanti». Allora, con la precisione gentile di un maestro accurato, il critico porta gli ascoltatori nella sua officina filologica, parla di recensio e confronto di manoscritti, di codici bipartiti e della fatica tortuosa nel ricostruire qualcosa di quanto più simile possibile all’archetipo originale, consapevoli del fatto che a volte quell’archetipo è irraggiungibile. Il traduttore classico mette insieme i pezzi, si confronta con le traduzioni passate, ma il vero corpo a corpo è quello con la parola singola.

Sì, perché tradurre è una un responsabilità: ogni parola può essere determinante. Latronico dice di aver letto traduzioni di Dorian Gray in cui, solo cambiando alcune parole, si epurava del tutto il testo dalla sua dimensione sessuale. Questo accade anche con i classici. Baldi riporta la sua esperienza con la traduzione de La Germania di Tacito, definita dallo storico Momigliano «uno dei cento libri più pericolosi del mondo». Perché quella descrizione dei germani come un popolo nullis aliarum nationum conubiis infectos (mai guastati unendosi ad altri popoli) a seguito di una lettura distorta è diventata giustificazione alla dottrina della razza e manifesto della Germania nazista, non tenendo conto che Tacito stesse parlando dei germani e non dei tedeschi. Allora tradurre quell’infectos come guastato diventa davvero una responsabilità. Ma è una responsabilità che non si può evitare.

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Ed ecco che si torna all’Ulisse complicato, questo criticato epiteto affibbiato all’eroe greco dalla grecista britannica Emily Wilson, che nel suo proemio dell’Odissea traduce così: tell me about a complicated man. «A me è caduta la mascella quando l’ho letto» rivela Latronico e Baldi condivide e sottoscrive la reazione – tanto, come si è detto, in questo spazio si può anche essere cattivi. Wilson ha fatto un’operazione politica, ha voluto dare una dimensione psicologica ai caratteri omerici, ma in Omero questa dimensione psicologica è implicita, viene fuori dalle azioni dei personaggi, e caratterizzarli è compito del lettore, che ha tutto il diritto di fraintendere.

Dunque tradurre non può diventare tradire. Non serve snaturare Ulisse, non è necessario esimersi dal tradurre quell’infectus, forse è più importante spiegare cosa fosse il razzismo nel mondo antico o a quale scopo Tacito scrivesse quelle parole, ecco perché non è possibile scindere la traduzione dal commento. Ecco che diventa indispensabile la parte dei critici.

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