Spazi esclusi, disegni marginali
9 9 2021
Spazi esclusi, disegni marginali

I racconti periferici di Davide Reviati

Chiunque abbia compiuto diciassette anni conosce quella condizione per la quale, a quell’età, si ha la forte sensazione che tutto sia possibile. Le passioni diventano totalizzanti e fuggono da qualsiasi edulcorazione. Non ci sono vie di mezzo, non si può fare a meno delle cose impossibili. È un momento della crescita in cui il futuro è un foglio bianco, come se iniziasse tutto lì, in quello spazio di mezzo tra la spensieratezza e i primi timori. Tutto sempre nuovo, tutto sempre daccapo.

È con questa attitudine che Davide Reviati, illustratore e autore di Sputa tre volte (2016), Morti di sonno (2009) e Ho remato per un Lord. Un racconto di Stig Dagerman (2021), si racconta a Marianna Albini, mediatrice di gruppi di lettura.

Quella condizione di «adolescente» si mantiene costante in tutte le sue pubblicazioni e sta alla base di molte sue storie. Nei suoi libri infatti c’è un'intensità di segno inevitabile, quasi necessaria. I disegni si allontanano dalla condizione rappresentativa mantenendo esclusivamente l’esponente narrativo. In ogni immagine c’è racconto. Nessun simbolo, nessuna metafora.

Un nichilismo viscerale che infatti non si traduce in colore. Le tavole sono in bianco e nero, per evidenziare il contrario e perché «non si può fare altrimenti». Il colore è metaforico. Niente rimanda ad altro, è tutto reale, come deve essere. La superficie delle pagine sembra incisa, scarificata.

(caricamento...)

Un racconto emblematico e in questo caso rappresentativo del suo percorso artistico è Morti di sonno. Scritto in fretta, per riuscire a sopravvivere agli attacchi d’ansia che in quel periodo lo accompagnano durante le notti di lavoro.

«Avevo paura di morire prima, Soffrivo di crisi di panico». nIl segno è nervoso, forse nevrotico. Ansioso di concludersi e significare.

I personaggi del racconto si muovono in ambienti chiusi, soffocanti e forse costretti del quartiere Anic, ai margini di Ravenna. Costruito sul finire degli anni Cinquanta per volontà di Enrico Mattei, per dare alloggio agli operai che lavorano alla fabbrica omonima, una delle più importanti aziende petrolchimiche italiane. Inizialmente pensato come una piccola città autonoma e servita, diventato nel corso degli anni il quartiere scordato di Ravenna: sempre più eterogeneo e cosmopolita ma sempre più in rapporti conflittuali con il centro cittadino per diverse ragioni, principalmente economiche, che non consentono al quartiere uno sviluppo parallelo con i quartieri restanti e lo trasformano. Giudizi e pregiudizi plasmano il suo racconto. Una costola isolata, con una sola via di fuga.

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In questo spazio si sviluppano i racconti di confine, di margine e di difficoltà di Morti di sonno, la graphic novel più simbolica della sua produzione. Un racconto dal retrogusto autobiografico che presenta le difficoltà di una generazione di adolescenti nel confrontarsi con il silenzio della periferia. «Il mondo per noi ragazzini finiva lì». Uno spazio difficile da abbandonare, che richiama sempre e costringe a tornare: una dimensione che ti tiene prigioniero. La realtà dei ragazzi di quartiere: non aver promesse e soprattuto non aveva speranze. Treviati abita ancora tra quelle strade che gli sembrano ora vive di fantasmi. Le poche speranze che si sono presentate nel corso del tempo sono state stroncate da eroina e tumori, per la fabbrica vicina.

(caricamento...)

Non c’è epica. Il racconto è crudo. «Il riscatto appartiene alla fiction, non alla realtà». Non si tratta di pessimismo, ma di un continuo confronto con la consapevolezza di dover vivere in un quartiere sopravvissuto. Una scenografia immobile, sempre uguale che tuttavia tradisce sè stessa nei racconti di infanzia. Nella racconto-testimonianza di Treviati, emergono tracce luminose. Le partite serali di calcio con i compagni di scuola che, tramontato il sole, proseguivano ad oltranza. Rincorrere la palla al buio, vedendola a malapena, ma continuare a giocare. Un gesto simbolo della volontà di non abbandonare quello spirito spensierato.

Un'ostinazione a rimandare la crescita, a posticipare le responsabilità. La necessità di rimanere bambini, anzi diciasettenni.

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