Storie di scalate
7 9 2022
Storie di scalate

Cognetti e Carucci: due uomini che hanno scelto la montagna

Sono presentati come “i due selvaggi”: un appellativo che fa sorridere, ma che ha un fondo di verità. Questo perché Paolo Cognetti e Maurizio Carucci condividono una storia simile, che li vede scegliere la montagna. Accompagnati da un cane l’uno e da un pianoforte l’altro, l’autore de Le otto montagne e La felicità del lupo e il cantautore e frontman degli Ex-Otago, hanno raccontato le loro storie di partenze e piccole rivoluzioni e soprattutto la passione che li accomuna.

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Cognetti lascia l’università a vent’anni e a trenta la città, per trasferirsi in un paesino sulle Alpi valdostane e scrivere in solitaria. Carucci, dal 2011, si sposta in Alta Val Borbera e fonda Cascina Barbàn, dove coltiva uva, frumento, frutta e verdura.

Per i due si è trattata di una scalata, sia fisica che metaforica, verso la felicità. Non è sempre stato facile: Cognetti fa una distinzione all’interno del suo ultimo libro, La felicità del lupo, e racconta come all’inizio, quando per la prima volta si è allontanato da Milano e si è rifugiato nelle montagne, la sua felicità era animalesca, da lupo, perché nata da una fuga irrequieta e convulsa. Dopo anni passati in montagna, invece, la sua aspirazione è di raggiungere la felicità degli alberi: immobile, quieta, generosa. La stessa che riempie Carucci nel fare quello che fa, nel coltivare la terra e autosostentarsi, in quello che ha definito un «atto politico». La sua ribellione e la sua conquista è stata lasciare Genova, rifiutare gli schemi urbani, i costrutti della città, per fondare «un progetto non industriale, che ha a che fare più con lune e persone che con macchine e automatismi».

Tuttavia, la città non è rinnegata, ma questa e montagna costruiscono una dialettica nella vita dei due, che nell’incontro hanno messo in luce questo rapporto conflittuale: quando si è in città, la presenza degli altri può essere un conforto. Sentirsi parte di una comunità è consolante; dove invece la montagna, a volte, è così solitaria da inquietare. Ma quando si è in città, si sente la mancanza della montagna, che diventa il luogo del sogno. Cognetti racconta di come gli capita, quando è in pianura, di sognare i suoi monti e nel sogno vedersi camminare come ama fare.

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La montagna, mentre si è in città, è il miraggio, l’utopia, che ridiventa concreta una volta che ci si confronta con essa, quando «spariscono i concetti e ritornano i nomi».

Sia Cognetti che Carucci citano Rigoni Stern, come fonte di ispirazione e vero guru nell’abbracciare la filosofia della montagna. È inevitabile, però, pensare anche a Tiziano Terzani, a ormai diciotto anni dalla sua morte: un uomo che è stato protagonista del giornalismo internazionale del Novecento, ma soprattutto un uomo di viaggio, di esplorazione. Prima che Terzani muoia, il figlio Folco gli fa un’ultima intervista, che pubblicata sarà poi una sorta di testamento, La fine è il mio inizio. È proprio Folco a ricordare come fosse stato il padre a dargli l’insegnamento più importante: quello di costruirsi la propria storia, non per accontentare o far felici gli altri, ma per avere una vita che lo rappresenti e sia autenticamente sua. Una lezione, questa, che Cognetti e Carucci hanno saputo accogliere e fare propria a tutti gli effetti.

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