Tra ricerca e libertà
10 9 2022
Tra ricerca e libertà

Ferruccio Laviani si racconta

La storia di Ferruccio Laviani parte dalla città di Cremona. Tutta la sua carriera si forma in modo programmaticamente legato ai suoi luoghi d’origine. Il suo percorso di studi, formazione e crescita si differenzia radicalmente dalla tradizione tipica degli architetti. Considerato l’enfant prodige del design italiano, da subito si colloca in una posizione chiara e precisa del pantheon dei grandi progettisti. Il punto di svolte avviene nel 1983, quando entra nello studio di Michele de Lucchi, di una decina d’anni più anziano di lui.

La vita di Laviani è costellata di grandi incontri e di incredibili coincidenze. Fa parte delle storie che riescono ad incastrarsi nelle fessure delle opportunità e a viverle a pieno. È stato sicuramente difficile partire da un provincia italiana degli anni ‘80 e arrivare ad essere una delle figure di eccellenza del design italiano, ma dal suo racconto sembra quasi avvenuto per caso.

Beppe Finessi riporta, da abile biografo, la storia di Laviani a partire dalle prime esperienze in Istituto Internazionale per l’artigianato Liutario e del Legno di Cremona. Un sacrificio richiesto dal padre, che lo voleva ingegnere, per poter cominciare a espandere i propri orizzonti. La scuola al tempo era effettivamente l’unico luogo a Cremona ad accogliere persone che vengono da un “altrove”.

«La scuola di Cremona aveva due corsi: liuteria e mobilio. Ho iniziato con liuteria ma quando ho capito che non sarei mai stato capace di fare un violino, ho deciso di cambiare corso, fortunatamente senza perdere l’anno. Avevo la necessità di disegnare e costruire». Questo approccio vuole mantenerlo anche oggi.

Oscillare tra libertà creativa e ricerca metodica è la sua firma.

Finita la scuola vuole studiare egittologia, ma il padre chiede di seguire le orme dei suoi amici e tutti i suoi amici volevano fare architettura. Negli anni ‘80 c’erano tre grandi scuole di pensiero: Firenze, Venezia e Milano. La prima era troppo radicale, la seconda troppo incentrata sull’urbanistica. Decide quindi di spostarsi a Milano.

In Laviani rimane comunque un forte attaccamento al proprio territorio sia durante i suoi anni di studio che lungo tutta la sua carriera. Si ricorda ad esempio quando da bambino accompagnava i genitori, entrambi restauratori, a lavorare in chiese e cappelle sparse nella provincia della pianura padana. Capitava gli assegnassero dei piccoli compiti di cura e manutenzione come pulire alcune di quelle statue di vescovi e santi in argento che spesso si trovano sopra gli altari. Era una prima forma di relazione con gli oggetti e con la loro assegnazione del valore.

«Michele all’epoca apparteneva a Memphis. Faceva parte del gruppo di persone che si erano spostate da Firenze con Andrea Branzi. Da un punto di vista professionale era un De Lucchi ancora da farsi. Posso dire che siamo cresciuti insieme soprattutto dopo il 1986 quando sono diventato socio dello studio».

Laviani riesce così a frequentare ambienti importanti per un giovane ventitreenne della provincia di Cremona. I viaggi con lo studio vanno da Tokyo per Sony a New York per Artemide. Tutte esperienze che insegnano a costruirsi una forte identità e un riconoscimento indiscutibile costellato da interlocutori importanti e sodalizi speciali.

Proprio dal 1991, comincia il sodalizio con Kartell per la realizzazione di alcuni stand espositivi. Successivamente ne diviene Art Director ridefinendo questa figura professionale. Nel corso del tempo collabora con importanti marchi del mondo della moda e del design a livello nazionale ed internazionale.

Prima di concludere l'incontro sottolinea rispondendo a un giovane designer in sala la necessità di costruire i propri strumenti. «In un'epoca come quella che viviamo dove qualsiasi dispositivo, anche autonomamente è in grado di progettare, è fondamentale tornare al disegno, alla traduzione manuale delle proprie idee. Solo così si può progettare qualcosa di grande».

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