Tradurre il fantastico
8 9 2022
Tradurre il fantastico

Traduzioni e ritraduzioni, da Harry Potter a "Il Signore degli Anelli"

Nel momento in cui, sotto la Tenda Sordello, Beatrice Masini prende la parola per rispondere agli spunti proposti da Luca Pareschi, inaugurando l’accento Tradurre il fantastico, è tangibile il senso di attesa di un pubblico composto da persone di ogni età e di diverse generazioni. Masini, particolarmente nota ai lettori italiani come traduttrice della saga di Harry Potter, nella sua veste di direttrice editoriale di Bompiani è stata parte attiva di un’altra recente impresa letteraria nel mondo del fantastico: la ritraduzione de Il Signore degli Anelli.

Che cosa implica l’essere fedeli al testo originario che si sta traducendo, specialmente quando si tratta di libri che costruiscono interi mondi fantastici? È questo un primo tema della fitta conversazione, che ben presto inizia però a dipanare un secondo filo conduttore: perché ritradurre un libro che già ha conosciuto una traduzione in italiano, come l’opera di Tolkien o i sette volumi di Harry Potter? Su quali basi si sostiene la necessità di una simile operazione, e quali sono i rischi che si affrontano? Quale rapporto intercorre con l’autore, quale rapporto con il traduttore originario, e in che modo la traduzione risulta influenzata dall’immaginare il “nuovo” lettore che avrà il libro tra le mani?

La scelta di ritradurre opere che, sulla base della traduzione originaria, hanno attratto comunità di lettori ampie, coese ed emotivamente coinvolte è comprensibilmente controversa. Nel caso di Harry Potter, ad esempio, la cui prima traduzione vide la luce quando la saga era agli inizi e lontana dall’evoluzione che avrebbe vissuto di pari passo con la crescita del protagonista, risulta corretto modificare il nome con cui milioni di lettori hanno conosciuto Neville Paciock, e che tuttavia schiaccia il personaggio sull’impacciato studente dei primi volumi della serie?

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Più in generale, qual è il proposito ultimo della ritraduzione di un capolavoro della letteratura fantasy? Lo si fa per una maggiore aderenza al testo? Oppure per trovare per l’opera un nuovo pubblico e un nuovo mercato, nell’accezione migliore del termine? O ancora: per ricollocare il libro nel nuovo contesto contemporaneo, rischiando però di sradicarlo da quello in cui era stato ideato e generato? La ritraduzione si rende talvolta necessaria a dispetto delle polemiche suscitate, argomenta Masini, in primo luogo per sottrarre un libro come Il Signore degli Anelli all’angusta etichetta della letteratura di genere e permettergli di essere percepito come il capolavoro tout court che è. Perché chi svolge il lavoro di Masini ha «il compito di spingere i libri verso gli scaffali giusti, affinché da quegli scaffali possano arrivare al resto del mondo».

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Condizione essenziale è, naturalmente, operare per le ragioni giuste, lavorando in buona fede e ancorando la traduzione in uno studio accurato e fedele alle intenzioni dell’autore. Ma ricordando, d’altra parte, che nella traduzione la piena fedeltà è impossibile, e che «i traduttori sono dei meravigliosi infedeli».

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